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Sostava pensoso di fronte al grande cancello in ferro battuto. Suonò il campanello un paio di volte, anche se in tasca aveva le chiavi di casa, che Gettle gli aveva fatto consegnare il giorno prima.

Aveva chiuso in anticipo l'attività quel pomeriggio e si era fatto una bella passeggiata attraverso il bosco, fino a raggiungere villa Beavers. L'aria odorava di resine e muschio sotto un cielo ricamato da stracci di nuvole, sfilacciate come zucchero filato. I fiori bianchi del mirtillo rosso e del trillium vibravano nel sottobosco, mentre le latifoglie cominciavano timidamente a indossare gemme e foglie giovani.

Un domestico venne ad aprirgli, già informato della sua visita.

– Dov'è? – chiese immediatamente Seri.

– In camera a studiare.

Attraversarono l'immensa proprietà camminando su un vialetto di semplice terra battuta. Nell'osservare la tenuta capì perché Ethan gli avesse chiesto aiuto. Il giardino era del tutto incolto e abbandonato, macchie di terra viva si alternavano a erbe infestanti e cespugli secchi, in un saliscendi brullo e caotico; un paio di alberi di castagno sostavano inclinati con il tronco segnato da lacerazioni profonde color mattone, simili a graffi, sulla corteccia rigonfia. Un piccolo ristagno putrescente dell'ultimo piovasco era affiancato da un semicerchio di siepi malate di fumaggine. Il resto era intrico di felci spontanee e arbusti.

Seri provò una fitta di angoscia a quella vista. Non era di certo il campo giochi adatto a un tredicenne.

Tutto lì dentro sembrava vecchio e ammuffito. Solo la casa appariva recente; ne rammentava la struttura, man mano che si avvicinavano. Adesso c'era un tetto, e le finestre erano al loro posto, più grandi di come le ricordava. Purtroppo aveva sempre l'aria di un mausoleo, con quelle colonne sul davanti stile tempio romano e il porticato laterale, invaso dall'edera.

Quando entrarono dentro e visitarono l'enorme soggiorno, Seri trasalì per un brivido improvviso. Marmo nero arabescato al pavimento, mobili scuri minimal chic, pareti grigio perla. Nessun dipinto, nessuna pianta, nessun segno che quell'ambiente fosse abitato e vissuto da esseri umani.

– Il signor Beaver ci tiene molto alla pulizia, – commentò il domestico notando la sua espressione.

Seri annuì, quella sala poteva essere utilizzata tranquillamente come stanza operatoria, tanto appariva asettica e glaciale.

– Laggiù, a sinistra, ci sono la cucina con i magazzini e la dispensa, mentre da questa parte la biblioteca, lo studio privato... ah, c'è una piscina interna. Venga, la prego.

L'uomo gli fece fare un giro panoramico per i vari locali, indicò poi le scale che davano al primo piano. – Le camere, i bagni, la sauna. Ci sono diverse stanze che al momento non vengono usate.

Seri evitò di commentare quanto tutto quello spazio fosse sprecato. Se la casa dove viveva un tredicenne non aveva nemmeno la cartina di una caramella fuori posto, c'era da preoccuparsi.

– La sua camera è lassù?

Il domestico annuì. – Seconda porta a destra. – Poi abbassò lo sguardo. – Non mangia da due giorni. Ha saltato la scuola oggi.

Seri si strofinò il naso. – Ok, – disse e salì le scale.

Il corridoio era anonimo, mobili zen anche a quel piano, orripilanti soprammobili da esposizione che sembravano buttati là solo per fare scena. Arrivò davanti alla porta e bussò. Attese un momento senza ottenere risposta. Bussò di nuovo e disse: – Ehm, salve... Matthew, sei lì dentro? Puoi aprirmi, per favore?

Dopo qualche istante di silenzio, sentì uno scalpiccio di passi avvicinarsi. Il battente si spalancò e un ragazzo dall'aria scompigliata avanzò a scrutarlo con cipiglio tempestoso.

Seri rimase un attimo interdetto. Somigliava al fratello, anche lui era moro dai lineamenti decisi e pelle dorata. Gli occhi però erano completamente diversi, caldi e generosi, come terra appena arata. E piuttosto furiosi, in quel preciso momento.

– Ciao, Matthew.

– C...chi sei? – balbettò lui. – C...che v...vuoi?

– Sono Seri, – fece lui, notando la sua magrezza e il vago pallore del viso. – Un amico di tuo fratello e di William.

– Mio f...frat...tello n...non ha am...mici.

– Io...

– C...Chi cazzo s...ei?

Di fronte a quello sguardo severo, improvvisamente sentì il fiato mozzarsi in gola. Era stata una pessima idea accettare l'invito di Gettle. Non c'era persona meno adatta di lui nell'intero universo per affrontare le problematiche di un adolescente. Cercò di riscuotersi, ma quegli occhi lo inchiodavano sul posto.

Si passò una mano sul viso, incespicando. – Per favore, puoi non fissarmi così? Non... non riesco a risponderti altrimenti.

Dopo un lungo sbigottito silenzio, udì un espirato: – P...parla. – Gli occhi si abbassarono, ancora diffidenti, ma puntati sul pavimento, mentre la mano stringeva la porta, pronta a sbattergliela in faccia.

Seri cercò di riprendere a ragionare. – Dunque... sono... io lavoro al vivaio del parco, qua vicino. Tuo fratello mi ha chiesto di mettergli a posto il giardino e gli interni della casa.

– E a...allora?

– Beh, ho bisogno del tuo aiuto... dovrei buttare giù un progetto, ma in tutta la casa non ho trovato né fogli né pastelli colorati o un cavolo di matita e... – mentre stava ancora parlando il ragazzo scomparve un attimo dentro la camera e risbucò fuori con un album da disegno e delle matite. Glieli ficcò tra le mani. – Ec...Ecco. Ad...desso va' f...fuori dai c... c... dai c...co... – annaspò.

– Coglioni, – fece Seri con un sorriso, di fronte al suo sguardo stupito. – Ok, adesso tolgo il disturbo, scusa. – Stava per andarsene, e lui per richiudere la porta, quando tornò sui suoi passi e disse: – Un'altra cosa.

Il ragazzo sbuffò. – A...ancora?

– Scusa, ma... quando disegno mi viene sempre fame, c'è qualcosa da sgranocchiare qua dentro? Di commestibile, intendo. Ho paura che se chiedo ai domestici uno spuntino mi portino caviale e champagne.

La bocca di Matthew si piegò nell'ombra di un sorriso. Lo prese per mano, una stretta forte e decisa, e lo accompagnò al piano terra. Andò verso un ripiano, lo aprì e tirò fuori un pacchetto di snack. Glielo gettò addosso, senza tante grazie. Ne prese uno per sé e tornò di sopra senza dire una parola.

Seri si chinò sul tavolo della cucina, dove dispose matite e fogli, cominciando a ragionare sulla dinamica degli spazi. – Beh, almeno gli è venuta fame, – mormorò addentando una patatina. 

Il mio floridaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora