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Seri si schiarì la voce dando un'occhiata al cielo carico di pioggia. Strinse le mani sul volante del suo sgangherato fuoristrada e trasse un profondo respiro. – Avanti, – mormorò a denti stretti, – non è difficile.

Non lo era, in realtà. Difficile. Si trattava solo di girare la chiave, avviare il motore e guidare fino in città. Che problema c'è? Avrebbe detto nonno Graham strizzandogli un occhio, come sua abitudine. Sei adulto e vaccinato, sei più forte delle tue paure!

– Oggi non mi sento affatto forte, nonno, – sussurrò dentro l'abitacolo che sapeva ancora del suo tabacco mentolato. Una stretta allo stomaco fece presagire la nausea che di lì a poco sapeva lo avrebbe bloccato del tutto, boccheggiò e gli occhi corsero subito al suo albero, che svettava lontano in mezzo alla radura, a destra della strada. – Ce la posso fare! – mormorò. – Ce la posso fare, – ripeté tornando a guardare davanti.

Fece una presa d'aria e mise in moto. Il motore scoppiettò e ruggì feroce facendo svolazzare via un paio di passerine blu, e il falco che si era posato sul traliccio dell'alta tensione davanti a lui. Un coniglio selvatico sgambettò via, nascondendosi rapido tra il fogliame. Persino le fronde dei sempreverdi parvero disturbate da quel suono innaturale. Seri diede di acceleratore e si avviò.

Raggiunse rapido la Skyline Drive, che attraversava da nord a sud tutto il parco, e dopo alcuni chilometri di strada panoramica raggiunse la Thornton Gap Entrance Station, una delle quattro entrate. Cominciava a piovigginare, azionò un paio di volte i tergicristalli e si concentrò sulla strada. Svoltò a sinistra per Luray, noto sito turistico per le spettacolari caverne sotterranee, e proseguì verso Harrisonburg nella contea di Rockingham.

I dolcissimi profili dei monti Blue Ridge a est si stavano rapidamente popolando di grossi nembi violacei che degradavano verso ovest, fino alla vicina catena montuosa degli Allegani. Dal finestrino filtrava aria muschiosa, densa di resine arboree derivanti dalle colline e alture boscose. La natura dominava ogni angolo di quel pezzetto di mondo.

Arrivò che pioveva a dirotto.

Il parcheggio dell'ospedale era affollato, dovette fare diversi giri prima di trovare un posto libero. Si mise a correre per non arrivare in ritardo. Entrò nell'hall e senza esitazione imboccò i corridoi che conducevano ai reparti di neurochirurgia.

Un'infermiera lo riconobbe e si fermò a salutarlo. – Seri! Non ti vedo da una vita. Ci manchi, sai. Quando torni dai nostri piccoli in pediatria?

Seri abbassò lo sguardo. – Non lo so, Betty. Faccio ancora fatica a guidare...

La donna gli diede una breve stretta al braccio con affetto. – Coraggio, – disse solo. E se ne andò.

Seri proseguì e raggiunse l'ambulatorio. La segretaria lo fece subito passare, il medico lo stava aspettando.

– Dottor Abel.

Un uomo sulla cinquantina si alzò, porgendogli la mano, e lo invitò ad accomodarsi dopo avere chiuso la porta del suo studio. Si sedette alla scrivania e silenziò il cellulare. Congiunse le mani sopra un voluminoso plico di referti e lo guardò con simpatia, dopo essersi aggiustato gli occhiali sul naso. – Come stai, Seri?

Lui sollevò le spalle, deviando lo sguardo da quegli occhi indagatori. – Bene.

– È stata dura arrivare fin qui?

– Non troppo. Ho... oggi approfitto per fare qualche commissione, poi ho un appuntamento con i Gettle. E, se Dio vuole, dopo me ne torno a casa.

L'uomo sospirò cominciando a scorrere le carte che aveva davanti. Seri pensò a quanto fosse stato fortunato ad averlo incontrato.

Anthony Abel era un eminente chirurgo, conteso dai principali ospedali del Paese, che aveva scelto però di rimanere in quella piccola cittadina all'epicentro della Shenandoah Valley, semplicemente perché, insieme alla moglie, era un escursionista appassionato di hiking e trekking, e quel luogo rappresentava per lui il paradiso in terra. Era stato molto amico di suo nonno, si era fermato spesso da lui a mangiare durante le sue uscite. Viveva l'arte medica con il cuore, oltre che con il cervello. "Non mi interessano le foto in copertina", aveva detto una volta, "preferisco vedere invecchiare in salute chi ho operato!". Seri lo ammirava profondamente.

– Allora, ragazzo mio, – sospirò il dottore risollevando lo sguardo su di lui, – la situazione è questa. Sono trascorsi cinque anni dall'incidente in auto. L'ernia cervicale che si è sviluppata a seguito del trauma era leggermente regredita, grazie alle terapie, ma dalle ultime analisi abbiamo accertato che è tornata come prima. Ripeto la domanda: come ti senti?

Seri abbassò lo sguardo, tormentando fra le dita una manica della sua giacca, umida di pioggia. – Bene... ogni tanto ho un po' di emicrania, tutto qui.

– Non ti è più capitato di avere dolori acuti, insopportabili, come all'inizio? Svenimenti, capogiri? Sensazione di tremore agli arti o poca sensibilità?

– Dei capogiri, talvolta... e... sono svenuto la scorsa settimana.

Abel si passò una mano sulla bocca, obliando la sua espressione preoccupata. – Vivi ancora al parco?

– Sì, – ammise lui, guardando la pioggia che scivolava sulle vetrate alla sua destra.

Il medico scosse la testa. – Te lo dico da sempre. Quella vita non è per te, figliolo. Te l'ho già spiegato. Immagino tu sollevi pesi, giusto? E stai in piedi o chinato tutto il giorno... Ascolta, sai che ero amico di tuo nonno, e so che vita d'inferno hai vissuto fino ai diciassette anni. Sono certo che tu sia in grado di fare qualsiasi cosa, ma il tuo corpo no. Se ti aggravi, potresti avere delle conseguenze permanenti. Gli interventi di microdiscectomia o artrodesi vengono eseguiti solo quando i trattamenti conservativi, cioè le terapie, falliscono, ma nel tuo caso sarebbe troppo rischioso affrontarli, per la posizione particolare dell'ernia. Ti darò altri farmaci, sono nuovi, e ti prescrivo una serie di sedute osteopatiche. Non vanificare il mio lavoro, ok? Tuo nonno non avrebbe voluto questo.

Seri strinse la bocca in una linea sottile, mentre il medico scriveva e stampava ricette e impegnative. Ricordava le ultime parole di suo nonno, prima di morire per un tumore fulminante ai polmoni, che se l'era portato via in un paio di mesi, lasciandolo senza altri parenti al mondo: "Non sarai mai solo, Seri. Siamo soli solo quando perdiamo il nostro cuore."

E subito l'immagine del suo albero gli flashò davanti come un monito. Per qualche strano motivo, e non sapeva nemmeno lui quando, i frammenti della sua anima si erano posati come leggeri soffioni su quel legno, avevano germogliato lì, dentro il midollo del tronco, si erano sviluppati fra i rami, e avevano messo ali e colore nelle foglie... Il suo cuore si trovava dentro il cornus florida. E non riusciva nemmeno a pensare all'idea di separarsene.

– Seri...?

La voce del dottor Abel lo fece sussultare.

Con un piccolo sorriso il medico gli porse l'incartamento che aveva prodotto e si alzò in piedi. – Voglio rivederti fra tre mesi. Ascolta, – fece, trattenendo le carte che l'altro aveva già preso in mano, – la mia segretaria sta andando in pensione, non potrei pagarti molto, è un lavoretto part-time, e lo so che non è una soluzione, ma se vuoi è tuo.

Lui gli sorrise imbarazzato. – Grazie, dottore, ci penserò.

Ma la mano ancora non si spostava.

– Seri,sto parlando sul serio quando dico che devi cambiare stile di vita. Non sonoesagerato quando dichiaro che se ci sarà un peggioramento... l'intervento chesarei costretto a fare, potrebbe ucciderti.  

Il mio floridaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora