19.

980 100 30
                                    


Seri deglutì a vuoto cercando di concentrarsi sul paesaggio che scorreva dal finestrino. Si portò una mano alla bocca, cercando di nascondere il malessere che provava. Sentiva di stare per vomitare.

Matthew si voltò dal sedile anteriore, lanciandogli un'occhiata ansiosa. Elisabeth Gettle, la madre di Logan, gli posò una mano sulle gambe, mormorò qualcosa e lo fece ritornare composto.

– Il mio autista è molto prudente, – disse a mezza voce il CEO William, seduto accanto a lui nei sedili posteriori della monovolume. – Non devi temere nulla.

– No, certo.

Cercò di convincersi che andava tutto bene. Che l'auto era in buone mani e li avrebbe condotti a destinazione senza problemi. Non c'erano pericoli. Di nessun tipo.

Il tempo era bello, una tiepida giornata di aprile, ciuffi di panna montata in cielo, fiori e germogli ovunque, non come quella volta. Quella terribile volta. La pioggia, la strada scivolosa, le loro urla, quel litigio furioso, pieno di livore.

Ci viveva da quando era nato, nell'odio. Una soffocante e deviata coltre di angoscia, dove perfino le lacrime ne uscivano contorte, incapaci di scivolare ben dritte a terra.

C'era stato quell'urto. Poi l'auto aveva preso a rotolare su se stessa. La lamiera si era incurvata, arricciata, emettendo suoni disarticolati e feroci. Aveva colpito la testa, la schiena e le gambe più e più volte, dolore che si era aggiunto ad altro dolore, finché il suo corpo non ne aveva potuto più e lo aveva precipitato nell'incoscienza.

Le ruote dell'auto presero una buca e Seri sussultò, ritornando alla realtà.

– Io non so come hai fatto, – gli stava sussurrando William, – ma in pochi giorni l'hai conquistato! Finora non aveva ancora chiesto di vedere suo fratello, lo sapevi?

– Matthew? – sillabò senza emettere suono.

L'uomo annuì regalandogli un sorriso e, aiutato dal rumore del motore, aggiunse con un filo di voce: – Geniale l'idea del giardino... l'ho visto e, mio Dio, non so come accidenti tu abbia fatto! Hai dei folletti dei boschi che ti aiutano?

– Me l'aveva chiesto Ethan.

– Cosa...? – esclamò lui sorpreso. Ma non fece in tempo ad approfondire. Erano arrivati all'ospedale.

Quando entrarono, Matthew lasciò il fianco della signora Gettle per accostarsi a Seri. Questi ruotò il polso e in silenzio gli porse la mano destra. Il ragazzo l'agganciò in una stretta decisa e proseguì guardando davanti a sé. Marito e moglie si lanciarono uno sguardo stupito, ma non dissero nulla.

Arrivati al reparto, i Gettle si fermarono a parlare con i medici. Matthew scrutava la figura distesa a letto che si intravvedeva dalla porta aperta della camera. Seri sentì che stava tremando.

Si umettò le labbra e si chinò di poco per incontrare il suo viso. – Matt...

Il ragazzo si riscosse e deviò lo sguardo su di lui.

Seri gli sorrise a labbra strette, senza dire nulla. I suoi meravigliosi occhi marroni gli trasmettevano un dolore che ben conosceva. Non esistevano parole per placarlo, né gesti per medicarlo.

La stretta alla mano si fece spasmodica. Venne tirato dentro la stanza, mentre ogni suono intorno a lui lentamente svaniva.

Ethan Beavers giaceva sul letto, le braccia abbandonate lungo i fianchi, collegato a sondini e flebo. Il monitor multiparametrico scandiva il tempo con suoni e ticchettii, ma Seri non lo sentiva.

Si avvicinò, insieme a Matthew, stordito, osservando quel volto cinereo, abbandonato nel sonno del coma. Le ciglia lunghe e nere, i tratti magri e forti, i capelli morbidi, scuri come notte. Li aveva accarezzati quei capelli. Ne aveva provato la dolcezza. E quelle mani, le aveva sentite. Sulla pelle.

Fiori. Fiori bianchi. Corteccia ruvida.

Una presenza che gli trasmetteva pace.

Seri ebbe un capogiro e si passò una mano sugli occhi. Il cuore gli martellava nel petto.

Che gli stava succedendo? Per un istante l'immagine del suo florida si era sovrapposta a quella di Ethan. Si era sentito attrarre in avanti, verso di lui, come da una potente calamita.

Matthew lasciò la sua mano per prendere quella del fratello. Chinò il volto e iniziò a piangere in silenzio.

Lui sapeva che avrebbe dovuto fare o dire qualcosa, cercare di consolarlo, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da quella figura esanime. Da quella presenza che, all'improvviso, dominava ogni suo pensiero. Corteccia e linfa che scorrevano. Intrecciate ai respiri.

Si ritrovò a muovere una mano, come un estraneo nel suo stesso corpo. Sfiorò la pelle della fronte, una ciocca di capelli e infine la tempia, così pallida sulla pelle altrimenti bronzea.

Il suo cuore accelerò ancora, irrequieto, emozionato, senza sapere bene per cosa. Mentre accarezzava il volto con movimenti lievi come sospiri, provò una sensazione di riconoscimento. Familiare. Come se quel corpo gli appartenesse, fosse sempre stato suo.

Sentì i coniugi Gettle entrare nella stanza, li vide mettersi accanto al letto dall'altra parte. Colse i loro sguardi di stupore, nel notare un gesto tanto confidente e intimo. Ma non riuscì a fermarsi. Né ad allontanarsi.

Ricordò d'un tratto i fulmini a ciel sereno di quella sciagurata notte, che lo avevano protetto da Logan e i suoi amici. Fu attraversato da un brivido feroce. La sua mano tremò. E la voce gli uscì di gola, prima che potesse fermarla. – Sono qui.

Non era stato che un sospiro, ma tutti lo avevano udito nel silenzio della stanza.

Fu in quel momento che Ethan Beavers riaprì gli occhi. 

Il mio floridaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora