Capitolo 17 - BERTONI SENIOR

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ADELAIDE

Squilla il telefono, risponde mia madre.
Fuori è ancora buio. È notte o forse è appena l'alba.
< Adelaide, vieni. C'è Niccolò al telefono. Suo padre se n'è andato >
Mi alzo di scatto e mi precipito in camera dei miei genitori per prendere la cornetta del telefono.
< Come stai? > Gli chiedo
< Così > mi risponde
< Arrivo, se vuoi >
< Si >
Riattacco. Mio suocero non c'è più. È morto. Un tumore l'ha portato via a soli sessantaquattro anni. Adoravo mio suocero.
Ieri pomeriggio sono corsa a casa loro perché lo avevano portato d'urgenza all'ospedale, ma poi l'avevano rimandato a casa. I suoi polmoni non gli permettevano più di respirare bene. Ma purtroppo non c'era più niente da poter fare.
Mi sono affacciata sulla porta di camera sua e lui mi ha accolto come sempre con grande calore e affetto. Gli ho detto che ci eravamo spaventati molto e che non doveva farlo più. Lui ha risposto con un sorriso fievole, smorzato dalla consapevolezza che purtroppo era giunto al termine della sua battaglia.

RICORDI

Era il 25 ottobre del 1995 quando mio suocero morì tra le braccia del figlio.
Niccolò aveva solo ventuno anni e da quel momento non fu più lo stesso.
Una parte di lui morì con suo padre.

Il padre di Niccolò era una persona meravigliosa. Un uomo forte, generoso, colto, integro, onesto e sincero.
Nato in una famiglia bene negli anni trenta, aveva ricevuto un ottima istruzione ed era diventato ingegnere. A soli sedici anni aveva conosciuto mia suocera e l'aveva sposata a ventitré anni.
Lei era stata l'amore della sua vita per quarantotto lunghi anni.
Aveva avuto una vita lavorativa intensa e piena di soddisfazioni. In anni in cui in Italia il viaggio più lungo che uno potesse intraprendere era quello per arrivare a Parigi o a Monaco, lui viaggiava per lavoro dividendosi tra il Giappone e l'America.
La sua dote più spiccata credo fosse l'empatia. Era una persona capace di relazionarsi con chiunque. Entrava per questo nel cuore di tutti. Ed era una persona su cui si poteva fare affidamento. Aveva sempre la soluzione per qualsiasi cosa ma soprattutto per chiunque gli chiedesse aiuto.

L'ho adorato immensamente e profondamente ed oggi a quarantadue anni,sposata e con un figlio vorrei che non se ne fosse mai andato, vorrei che fosse ancora qui.

Ricordo ancora la prima volta che lo conobbi.
Niccolò mi aveva invitato a cena a casa sua per presentarmi ufficialmente ai suoi genitori. Stavamo insieme da pochi mesi ed io ero molto intimorita dalla sua casa, bellissima e lussuosa e dai suoi genitori che sapevo essere persone molto colte.
Ricordo che con fare estremamente compassato mi tempestò di domande per tutta la cena.
Con il senno di poi, sorrido ripensando a quella cena. Mio suocero era un maniaco del controllo ed ovviamente stava cercando di avere il quadro più dettagliato possibile sulla mia persona.
Voleva sapere tutto di quella ragazzetta di cui suo figlio diceva di essersi innamorato.

Mi chiarì subito, forse per giustificare la sua obbligata necessità di farmi questa analisi dettagliata, che Niccolò non aveva mai portato nessuna ragazza a casa in modo ufficiale.

La domanda che più mi spiazzo fu :
< I tuoi genitori che cosa ne pensano del circolo ricreativo ? > Rimasi in silenzio, non sapevo a cosa si riferisse. Ma ero troppo giovane e intimorita per chiedere. Lui mi incalzò nuovamente < Ehi, bambolina >
Intervenne Niccolò in mio soccorso e con fare spazientito, guardando il padre in cagnesco mi spiegò che lui non riteneva il nostro liceo artistico degno di essere chiamato e considerato una scuola. Per lui la scuola era il liceo scientifico ed era ancora molto arrabbiato con il figlio e deluso del fatto che si fosse ritirato per andare a frequentare l'artistico. L'unica sua speranza è che Niccolò si ravvedesse con il tempo e facesse una piccola inversione di marcia per correggere il tiro, iscrivendosi ad architettura per seguire le orme del fratello.

Niccolò aveva infatti un fratello di venti anni più grande che era ed è ancora oggi un architetto di successo.

Passai l'esame della prima cena e fui promossa a pieni voti.
Dopo anni seppi che fu la mia dolcezza a catturarlo.
Mi chiamava Calimero, perché ero piccola e morettina. E a me quel nomignolo piaceva moltissimo. Ancora oggi mi commuovo al ricordo, nessuno mai mi ha più chiamato così.

Dopo la sua morte tutto cambiò.
Niente fu come prima.
Niccolò decise di non continuare il corso universitario a Modena e si ritirò rinunciando ad una carriera di autodesigner, anche se era stato sempre il suo sogno.
Era sempre stato un ragazzo solare e pieno di vita ma adesso che il padre non c'era più aveva perso interesse per tutto.
L' anno che segui fu particolarmente difficile per tutti.


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