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17 febbraio

Fare l'amore con Jimin, in settimana, significava godersi i celeri istanti di calma passione che gli attraversava, voleva dire sfiorarsi la pelle e le labbra e scambiarsi morbidi baci bramosi.

Voleva dire, uscire dalla doccia e stendersi sul letto con i muscoli doloranti dall'ennesima prova per lo spettacolo del giorno di San Valentino, e assaporarsi l'attesa del sentire urlare, dall'altra parte della casa, Jimin che gli chiedeva di andare ad aprirgli un barattolo di kimchi. E puntualmente, quel barattolo Jungkook finiva con il non aprirlo mai.

Jungkook si trascinò sul letto, ci si buttò a capofitto tirandosi verso i cuscini e affondandoci la testa. Odoravano di lavanda. Come il bagnoschiuma di Jimin.

Aveva iniziato a dormire a casa sua la prima volta che avevano fatto l'amore, e ci si era praticamente trasferito lì da una settimana a quella parte, quando lo avevano sfrattato di casa perché non poteva più permettersi di pagare l'affitto. Non che Jimin se la spassasse, ma per lo meno non rischiava di rimanere per strada ogni mese.

«Kookie.» No, quello non era il tono da vieni ad aprire il barattolo di kimchi, decisamente non lo era.

Jungkook aprì appena gli occhi, le palpebre erano pesanti e imploravano per richiudersi, ma si spalancarono non appena sentì il letto piegarsi e si ritrovò un peso proprio sopra il bacino, coperto solo dall'asciugamano.

«Hyung...» brontolò.

Le labbra di Jimin si piegarono in un sorriso, andarono a sfiorare quelle del più piccolo. Jimin fremeva, lo faceva sempre quando era vicino a Jungkook, sentiva l'irrefrenabile voglia di baciarlo e stargli accanto e non lasciarlo più. Jimin si sentiva patetico, in realtà, perché non era mai stato un tipo romantico, era più uno da arrivare subito al punto, e invece adesso si ritrovava ad apprezzare le chiacchierate al telefono, le cene takeaway e le serate di fronte alla televisione.

Certo, Jimin apprezzava anche lo scopare la mattina appena svegli, o sotto la doccia dopo le prove, o in macchina lasciando a freddare gli hamburger del fast food, o in qualunque altro posto, ma aveva iniziato ad apprezzare il bigliettino che Jungkook gli lasciava la mattina, quando usciva per correre e tornava con la colazione fumante.

«Tu non sei mai stanco?» Jungkook sorrise sul suo collo, aveva la pelle d'oca e Jimin riusciva a sentirla sotto le sue labbra. Fondamentalmente, Jungkook sentiva il suo corpo come una poltiglia informe e inanimata, senza alcuna forza per fare il minimo movimento, ma ovviamente Jimin riusciva sempre a trascinarlo con lui e fargli dimenticare la stanchezza.

Jimin fece sfiorare le loro labbra. Aveva sempre un ghigno divertito sul volto, uno che sarebbe sembrato innocente se solo Jungkook non l'avesse conosciuto abbastanza bene da poter dire che Jimin, di innocenza, nel suo corpo, non ne aveva neanche una goccia.

«Di te?» Fece una faccia pensierosa. «Nah, mai.» Jimin lasciò un bacio sulle sue labbra.

«Wow», Jungkook ridacchiò, le mani si strinsero intorno alle sue cosce, «sei davvero originale, te l'hanno mai detto?»

Jimin annuì, un'espressione soddisfatta in volto, mentre s'appoggiò sugli avambracci ai lati del viso del più piccolo. I petti si scontravano e Jungkook aveva paura che Jimin potesse sentire il suono del suo cuore esplodergli nel petto, temeva che potesse sentire quanto veloce stesse battendo e quanto scellerasse ogni volta che Jimin gli sfiorava le labbra con le sue.

«Sì, ogni tanto», fece una smorfia, le dita si strinsero intorno alle ciocche castane di Jungkook. Gli baciò di nuovo le labbra e questa volta osservò il volto del minore con le palpebre chiuse, del tutto assorto da quelle gentili carezze che riservava per lui. «Sai», continuò, incontrando poi le iridi dell'altro quando questo aprì gli occhi, «pensavo potessi», un'espressione ingenua in viso, «aiutarti a rilassarti, che dici?» affondò il viso nell'incavo del suo collo, inarcando appena la schiena per far strusciare le loro intimità.

𝐍𝐔𝐓𝐒𝐇𝐎𝐖Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora