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30 marzo

«Kookie...» Jimin gli sfiorò le labbra con le dita. «Dillo ancora», mormorò, «di' che mi ami.»

Jungkook aprì gli occhi: le iridi fiacche incontrarono quelle del maggiore. Strinse il braccio intorno alla sua vita per avvicinarselo al corpo, gli accarezzò il fianco prima di farla scivolare sulla sua guancia.

«Ti amo, Jimin.» Gli lasciò un bacio casto sulle labbra.

Jungkook non ricordava da quanto tempo fossero svegli. Forse un'ora, forse era già sera. Perché entrambi avevano la giornata libera, avevano già fatto l'amore due volte ed erano rimasti nel letto con l'unico bisogno l'uno dell'altro. Che poi, Jungkook e Jimin non avevano mai bisogno d'altro se non l'uno dell'altro, erano così semplici da essere perfino insicuri d'essere reali, perché Jungkook e Jimin stavano bene anche mentre si sfioravano le labbra e si ripetevano che s'amavano, stavano bene anche quando si sedevano sul pavimento e mangiavano quel ramen precotto che Jungkook si vantava di saper fare meglio di uno chef.

Non erano neppure certi d'essere reali, e lo dimostrava il modo in cui, ogni volta, si osservavano a fondo come se fosse la prima volta, come se ogni volta volessero scorgere un nuovo dettaglio che non erano riusciti a notare in precedenza.

Jungkook si sentiva in paradiso quando era di fianco, si sentiva preso e catapultato in un utopia apparente che gli faceva battere il cuore e gli tagliava lo stomaco con delle dannate farfalle. Annegava nelle sue iridi e ci vedeva bagliori di speranze e di sogni che Jungkook non credeva di poter aver. Eppure, stare di fianco a Jimin lo eclissava in un'altra dimensione, lo costringeva in una sadica visione onirica di una vita surreale che non avrebbe mai avuto.








20 dicembre

«Sicuro di stare bene?»

Jimin passò il cotone sulla sua fronte, inseguendolo nonostante Jungkook tentasse di ritrarsi al doloroso disinfettante, arrivando quasi a sdraiarsi sul tavolo su cui era seduto.

«Sì, te l'ho già detto almeno venti volte», sorrise, piegando il volto in una smorfia quando Jimin riuscì finalmente a tamponare per bene quella piccola sbucciatura sul viso. S'infilò tra le sue gambe, con una mano sul suo collo e l'altra che pigiava con forse troppa poca cura - in confronto a quella che aveva di solito - il cotone sulla fronte.

Come diavolo aveva fatto a cadere dal palco, Jungkook ancora non lo capiva, ma c'erano tante cose che non riusciva a comprendere e la prima erano gli occhi di Jimin annebbiati dalla preoccupazione e da indicibili bugie che, Jungkook era sicuro, gli stava raccontando.

Dietro i camerini c'era l'infermeria. Era proprio insieme a tutte quelle porte alla quale Jungkook passava davanti ogni giorno, ed era quella in cui, forse, era entrato più volte – perché Jungkook era uno scapestrato con la tendenza ad esagerare e a farsi sempre male.

«Kookie», mormorò, lo sguardo ancora fisso sulla sua ferita, «se dovessero demolire il teatro...»

«Non dirlo neanche per scherzo», lo bloccò, cercando il suo sguardo invano. «Miss Yang ha detto che non succederà, no?»

Jimin annuì appena.

«Senti, anche se dovesse succedere, non significa che la compagnia andrà a puttane, rimarremo comunque tutti insieme, e troveremo un altro luogo in cui fare gli spettacoli», Jungkook gli prese la mano, obbligandolo a far incrociare i loro sguardi, «va bene che siamo una compagnia piccola, ma magari sarà la nostra possibilità di diventare più grandi e– e famosi. Chim, non sarebbe bellissimo esibirsi nei grandi teatri? A Seoul magari? Dio, sarebbe un sogno.» Un sorriso straripante di speranze si fece largo sul suo viso.

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