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10 dicembre

Se c'era una cosa che Jungkook detestava era contare ogni monetina per fare la spesa prima di uscire di casa. Odiava contare, odiava il rumore metallico del metallo che raschiava contro il tavolo di legno quando le trascinava per dividerle, e odiava ancora di più perdere il contro non appena alla radio mettevano una canzone troppo bella per non essere ascoltata.

Però, come ogni giorno d'altronde, s'era trovato a trascinare nervoso quelle monete, aveva ascoltato gli Evanescence – muovendo inevitabilmente le spalle e le gambe ripensando a quella coreografia che aveva buttato su Lacrymosa insieme a Jimin un anno prima – e poi era uscito di casa, sbattendo la porta e facendo tremare le pareti. Jungkook era sicuro d'essersi beccato un insulto da parte della signora Choi che, con la finezza degna d'una vera dama, lo malediceva ogni giorno per essere un fottuto scapestrato irrispettoso nei confronti dei più vecchi che non avevano più l'età per scopare come conigli.

Jungkook, quindi, s'era diretto al discount più vicino e aveva calcolato con precisione tutto ciò che gli serviva davvero – abbandonando così quel delizioso pacco di alghe condite che andava fuori dal suo budget. Con le borse della spesa e la bellezza di zero quattrini nelle tasche s'era di nuovo diretto a casa.

Era giovedì, questo significava che aveva le lezioni di danza dalle tre alle sei. Ma Jungkook era un tipo troppo fiscale per stare dietro esclusivamente a ciò che i suoi maestri gli avevano sempre detto di non fare, e con le parole della Yang a rimbombargli nella testa – «se continui ad esagerare finirai a leccarlo quel palco e non a ballarci» - si mise i pantaloncini e uscì di nuovo dall'appartamento – beccandosi un altro insulto dalla vicina di casa.

Jungkook si chiedeva che diavolo ci avesse trovato di così bello Jimin in quel sudicio loculo al quinto piano senza ascensore: il wi-fi andava e veniva, le tubature perdevano e quando pioveva fuori lo faceva anche dentro, i rumori dei topi nelle pareti – con cui Jungkook oramai aveva fatto amicizia – e l'antenna della televisione – che prendeva dalle undici a mezzogiorno e dalle tre alle quattro del pomeriggio; tranne il canale della KBS, quello non prendeva mai – non rendevano l'appartamento più accogliente o abitabile. Eppure, ormai Jungkook s'era perfino abituato all'odore di umidità e alle coperte ghiacciate ogni volta che andava a dormire.

Odiava, in realtà, la sensazione delle lenzuola fredde ad avvolgergli il corpo, aveva sempre adorato quando Jimin lo abbracciava prima di addormentarsi e la consapevolezza di non averlo più in mezzo alle scatole ventidue ore su ventiquattro gli faceva piegare il viso in un'inevitabile espressione corrucciata. Il sorriso, però, non ci metteva chissà quanto a ricomparirgli sul volto quando il pensiero del suo viso felice gli copriva gli occhi, sentiva di nuovo la sua voce rimbombargli nelle orecchie e Jungkook sapeva che, anche se non poteva stringerselo sotto le lenzuola, poteva incontrarlo ogni pomeriggio.

Quando arrivò di fronte al teatro aveva corso otto chilometri e mezzo e aveva la fronte imperlata di sudore. Riprese fiato e portò le dita intorno all'orologio per osservare il timer: venticinque minuti. Sarebbe potuto andare meglio, ma sarebbe potuto anche andare peggio.

Le sue iridi corsero sul teatro: grande, maestoso edificio dai rilievi dorati e le porte sprangate. Ma che poteva aspettarsi? Non era tempo di spettacoli, Jungkook passava lì dentro le ore a fare le prove per l'esibizione di natale da almeno due mesi, e ogni giorno doveva entrare dal retro, nell'ingresso per attori e i ballerini e i musicisti.

A Jungkook piacevano le vibrazioni che trasmetteva quel posto: già mentre superava il porticato in legno vecchio riusciva a sentire l'orchestra risuonare nella sua mente e il suo corpo, per poco, non incominciava a danzare sugli scalini. Le vetrate coperte dai mosaici donavano un'ambientazione tetra e oscura, filtravano la luce del sole e illuminavano di quadrati colorati la pelle di Jungkook, quando passava nel corridoio.

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