Capitolo 67

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Noah

Porgo il caffè all'ennesimo cliente, poi vado in bagno per sciacquarmi la faccia. Sto morendo di caldo.

Ripenso a ieri. Alla fine Anna è tornata a casa sua, anche se speravo si fermasse da me per la notte. Prima di riportarla a casa però, lei mi ha costretto a comprarle una vaschetta di gelato, e siamo restati una mezz'oretta in macchina a mangiare.
Io cioccolato, lei pistacchio.

Nella macchina ci sarebbe stato il silenzio assoluto se non fosse stato per la canzone "Boulevard Of Broken Dreams" che risuonava ad alto volume nell'auto.
Ogni tanto mi giravo preoccupato verso Anna, perché non aveva versato una lacrima da quando era tornata dalla conversazione con suo fratello. Lei sembrava immersa nei suoi pensieri, così sono restato ad ammirarla per un po' finché non mi ha chiesto di riaccompagnarla a casa sua. Mi dispiaceva lasciarla andare, ma mi sono accontentati del bacio che mi lasciò prima di uscire dalla macchina. Ovviamente quando sono tornato all'appartamento l'ho chiamata, e abbiamo parlato fino a tardi.

Adesso però sono al bar, a lavorare. Che palle.
Decido di tornare a preparare i caffè prima che il mio capo mi ammazzi.

Esco dal bagno e torno dietro al banco, pronto ad accogliere il prossimo cliente.

«Un caffè da portar via, grazie.»

Il solo sentire quella voce mi fa stringere i pugni.

«Mi dispiace, ma qui non serviamo gli stronzi» dico, anche se non è proprio la verità: una volta ho dovuto servire un tizio che mi aveva insultato solo perché mi ero sbagliato di ordinazione.

Già, quello era proprio uno stronzo. Ma quello che ho davanti adesso è il re degli stronzi.

John mi porge una banconota da dieci euro. La sua faccia è sempre la stessa, candida, occhi azzurri, capelli marroni e un sorriso che dovrebbe essere preso a pugni.

Quindi vuole davvero che gli avveleni il caffè? Be', peggio per lui.
Prendo i dieci euro e li metto nella cassa del bar.

Lui aggrotta le sopracciglia. Che c'è, pensava che avrei preso per me i suoi soldi? Bleah, nemmeno per sogno.

«Un caffè, hai detto?»

Lui annuisce, con un sorriso compiaciuto sul viso. Oh, e crede di aver vinto.

Gli preparo un caffè, e di nascosto ci aggiungo del sale. Peccato che sia da portar via, avrei voluto vedere la sua faccia dopo averlo assaggiato.

«Vuoi il tuo nome scritto sopra?» chiedo, prendendo in mano il pennarello che uso di solito.
«Va bene» fa un gesto con la mano.

Gli tendo il caffè con sopra scritto "John lo stronzo", e gli sorrido.

«Divertente» borbotta, prendendo il caffè.
«Te ne puoi andare adesso» lo liquido facendo un gesto con la mano.
«Volevo parlare con te di una cosa» dice, mentre io mi giro di spalle, mettendo a lavare qualche tazzina di caffè.
«Non ho tempo per le tue stronzate» borbotto.
«Volevo sapere come ti trovi insieme ad Anna.»

Mi giro di scatto verso di lui. Anna no. Di lei non può parlare. Non ne ha il diritto.

«Non ti azzardare a pronunciare il suo nome» ringhio, stringendo i pugni.

Finora ero calmo, ma adesso sono nervoso. Ripenso alla notte in cui Anna mi ha raccontato tutto piangendo, di come aveva sofferto, e mi sento soffocare.

Lui mi ignora, e continua a parlare, toccandosi i capelli marroni con una mano.

«Capisco perché lei ti piaccia, insomma, quello che sa fare con quelle labbra, quelle mani...» chiude gli occhi, e quel punto non riesco a resistere.

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