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Alle 19:50 mi trovai sola ed infreddolita a 80 Columbus Circle 60th Street, in attesa del mio accompagnatore. Avevo indosso un vestitino attillato nero con uno scollo morbido e uno spacco ornato con strass dorati pendenti; avevo anche messo dei tacchi, in quanto nel ristorante era richiesta eleganza.
Finalmente dopo un paio di minuti vidi sbucare una testa riccia da dietro l'edificio e il mio cuore iniziò ad accelerare. Indossava uno smoking nero, decorato con una cravatta rosso fuoco. Era bellissimo.
«Ehy Rosie.» sorrise dandomi poi un bacio sulla guancia.
«Ehy! Stai benissimo!» cercai di mascherare il rossore che si stava invadendo delle mie guance.
«Beh, anche tu, sei meravigliosa.» mi guardò da capo a piedi, ed io mi sentii svenire «Il ristorante è qua sopra.» disse puntando l'indice verso l'aria. Io lo seguii, confusa, leggendo solo Mandarin Oriental.
«Al 35° piano c'è un ristorante, si chiama Asiate, ha una vista bellissima.» mi spiegò sempre con un sorriso.
Io annuii visibilmente emozionata, era la prima volta che andavo in un ristorante elegante in tutta la mia vita.
Ci incamminammo verso l'entrata e lui mi porse un braccio per appoggiarmi ed aiutarmi a camminare, cosa che apprezzai molto dato che avevo già i piedi leggermente doloranti.
L'atrio dell'edificio era lusso puro, il pavimento era così lucido che riuscivo a specchiarmi, ero strabiliata; ci avvicinammo alla reception ed Harry iniziò a parlare con l'uomo che la gestiva, io non sentii una parola, ero troppo intenta ad ammirare l'arredamento che avevo intorno. Dopo pochi secondi l'uomo ci accompagnò verso l'ascensore e ci lasciò soli dopo aver premuto il tasto con su scritto 35.
«Harry, è così meraviglioso qui.» dissi con gli occhi che luccicavano.
«Aspetta di vedere quando arriviamo in cima.» mostrò le fossette.
Arrivammo finalmente al piano corretto e ci accolse un cameriere che ci portò al nostro tavolo. La sala da ristorazione era ancora più bella della hall, non pensavo potesse essere possibile; tutta la stanza era formata da finestre, quindi c'era una vista a 365 ° di tutta Manhattan e Central Park.
Il nostro tavolo era attaccato ad una delle finestre, il che mi permise di osservare ogni minimo dettaglio del panorama che mi trovavo davanti.
«Che ne dici?» mi distrasse Harry.
«Sono senza parole, è il posto più bello che abbia mai visto.» sorrisi.
«Ne sono felice, volevo fosse speciale.»
Ci mettemmo più di mezz'ora a scegliere la nostra cena, soprattutto perché Harry dovette spiegarmi e tradurmi tutto il menù.
Arrivò il vino, bianco, dentro un secchio di vetro nero con del ghiaccio, ed io non sapevo più se stessi sognando o meno. Il mio accompagnatore lo estrasse dal secchio e me ne versò un po' nel bicchiere, divertito, dopo aver visto la mia bocca aperta.
«Io sono abituata a bere vino da due dollari ...» risi portando il bicchiere alla bocca e prendendone un sorso. Era delizioso, non aveva quel sapore acido che mi era noto.
«Ti porterò in altri posti del genere, dovresti vedere la tua faccia, è impagabile.» sorrise portandosi anche lui il bicchiere alle labbra.
«Scusa, so che probabilmente sembrerò ridicola.» ironizzai nascondendo il mio imbarazzo. Poi tornai con i piedi per terra e mi accorsi che probabilmente per pagare la mia parte di cena avrei speso quanto l'affitto mensile del mio appartamento.
«Assolutamente no, anzi, mi sento onorato ad essere il primo a trattarti come meriti.»
In quel momento se mi fossi trovata in piedi le mie gambe avrebbero ceduto e sarei caduta a terra. Quelle che sentivo nello stomaco erano farfalle?
Arrivarono anche i nostri piatti, che mangiammo con tutta la calma del mondo, parlando di svariati argomenti, anche personali. Scoprii che i suoi genitori erano divorziati da quando lui aveva 3 anni, e che aveva un eccellente rapporto con suo padre, più di quanto lo avesse con la madre; il padre abitava a New York, si era trasferito da un paio di mesi per andare a convivere con la compagna. Evitò di farmi domande troppo esplicite sul mio passato, ma riuscì comunque ad estrapolarmi qualcosa.
«Quindi hai una sorella.»
«Sì, si chiama Charlotte. Vive a Filadelfia insieme ai nostri zii.» dissi tra un boccone e l'altro «Non abbiamo un vero e proprio rapporto, non la vedo da quando si è trasferita, da 3 anni.»
«Mi dispiace un sacco, Ros.» sorrise confortandomi.
«Oh no, non devi, è stato meglio così. Quando i miei genitori sono morti io non ci stavo più con la testa, facevo cazzate su cazzate, che non sono finite fino ai 19 anni, quindi è stato meglio che lei si sia allontanata da me.» dissi in modo calmo.
«Sei una delle persone più forti che io conosca, davvero. Hai passato tanta merda, eppure guardati adesso.» e mi afferrò la mano che avevo sul tavolo, stringendola.
Mi sentivo al sicuro, mi sentivo come se potessi parlare anche delle cose peggiori che Harry sarebbe rimasto lì al mio fianco a supportarmi e consolarmi.
«Purtroppo certe cose non le puoi scegliere, prima ci convivi e meglio è.» sorrisi stringendo a mia volta la sua mano.
«Comunque l'altra sera volevo dirti una cosa, canti davvero bene.» disse facendomi arrossire.
«Era un altro dei miei sogni, fare la cantante, siamo simili in fondo.» risi arrossendo.
«Non ho mai detto il contrario, infatti. Come mai hai smesso?»
«Facevo la cheerleader al liceo e facevo parte del club di teatro, ma inutile dire che dopo quello che è successo ho mollato tutto. L'altra sera è stata la prima volta in cinque anni, ritieniti speciale.» ironizzai.
Intanto avevamo finito di mangiare, ma Harry ordinò un'altra bottiglia di vino e due dolci a scelta dello chef.
«Come hai capito che volevi fare musica?» iniziai a curiosare nella sua vita.
«Non lo so in realtà, so solo che questo è il mio sogno da quando ne ho memoria. Penso di aver iniziato a cantare dentro la pancia di mia mamma.» rise sorseggiando il vino che nel frattempo era arrivato al tavolo.
«Ti capita mai di pensare di essere sulla strada sbagliata?» mi uscì dalla bocca, che ormai sembrava avere una vita propria grazie all'alcol.
«In che senso?»
«Non so, a volte mi sento come se stessi sbagliando strada per il mio futuro. Come se non stessi davvero seguendo le mie passioni.» sbiascicai a voce bassa.
Harry avvicinò il petto verso il tavolo in modo da avvicinarsi anche al mio viso.
«Ros io credo che dovresti fare solo quello che ti rende felice. Se non sei felice con l'università, mollala. Se non sei felice dove vivi, cambia città. Puoi fare tutto quello che vuoi.» sussurrò ed io mi concentrai soprattutto sulle sue guance che avevano preso un colorito roseo.
Sentivo le sue parole rimbalzarmi per tutta la testa, "fai solo quello che ti rende felice", così mi avvicinai fino a far sfiorare i nostri nasi e lo baciai appena, sfiorandolo. Lui sorrise e fece pressione con le labbra, dandomi un bacio vero. Fummo interrotti dal cameriere, che, imbarazzato, ci mise il dessert sul tavolo.

***

Erano le 24 e noi eravamo brilli,tanto che per poco io non caddi in terra mentre cercavamo di raggiungere lacassa.
«Ti ringrazio Harry, spero che la signorina abbia gradito il pasto, allaprossima.» disse un uomo anziano sbucato dal nulla. Harry parlottò un po' edinfine ce ne andammo. Io mi trovai parecchio confusa, in quanto non avevamopagato nulla.
«Harry, sono pazza o non abbiamo pagato?»
Lui rise appoggiando un braccio sulle mie spalle, probabilmente divertito dalmio livello di preoccupazione.
«Il proprietario è il migliore amico di mio padre, gestisce un sacco diristoranti qui a New York.»
«Sei proprio fortunato, ti invidio.» dissi dandogli un colpetto sul petto.
«Che ne dici se andiamo da me?» propose ed io sentii un velo di imbarazzo daparte sua. Annuii con un sorriso e ci incamminammo, poiché, a sua detta, casasua era dietro l'angolo. In realtà camminammo per un tempo che a me sembròinfinito, tanto che Harry ad un certo punto fu costretto a portarmi in braccioperché avevo troppo male ai piedi. Scoprii più tardi che in totale camminammo 7minuti.
Il suo appartamento si trovava nel quartiere di Manhattan, come il mio, ed eraesattamente come l'avevo immaginato nella mia testa. Le pareti erano grigioscuro, così come la maggior parte dei mobili, in ogni angolo c'erano chitarre opile di spartiti e quaderni sparsi; camera da letto, cucina e salotto formavanotutti una stanza unica, facendomi immaginare che viveva da solo.
Appoggiai la mia pochette nera sull'isola della cucina e mi sedetti sulla primasedia che trovai, sforzandomi di non lanciare via i tacchi e rimanere a piedinudi. Intanto Harry si era levato la giacca, restando solo in camicia, edarmeggiava con una bottiglia e due bicchieri alle mie spalle.
«Non è buono come quello del ristorante, perdonami.» disse porgendomi uncalice.
«Come se mi facessi degli scrupoli.» risi battendo leggermente il mio bicchierecontro il suo.
«Adoro come hai arredato tutto. Soprattutto il letto vicino a quella finestraenorme.» indicai in fondo alla stanza.
«Mi sono dovuto un po' arrangiare, pagando tutto da solo non potevo permettermipiù stanze. Però tutto sommato, mi piace.» sorrise finendo il vino.
Bevemmo altri due, forse tre, bicchieri di vino, fino ad arrivare ad un puntoin cui non riuscivamo più ad avere una conversazione poiché eravamo assaliti daattacchi di ridarella.
Io avevo finalmente deciso di togliermi le scarpe e mi trovavo seduta sul suodivano con lui affianco, intento ad elaborare una playlist per il "momento", ilche mi provocò un'altra risata, seguita a ruota da lui.
La prima canzone che partì fu un lento, non riuscii a capire la canzone, e luisi alzò di scatto dal divano porgendomi una mano. Io mi alzai lentamente,afferrandola, notando che ero notevolmente più bassa di lui.
«Forse dovrei rimettere i tacchi.» risi e lui in tutta risposta mi prese lavita tra le mani, avvicinandomi a lui. La mia fronte superava leggermente lasua spalla, così mi alzai sulle punte e gli gettai le braccia al collo,continuando ad ondeggiare sulla musica. Alzai lo sguardo e vidi i suoi occhifissi su di me, il che mi provocò un sorriso, che lui ricambiò; ogni passo chefacevamo sembrava ci avvicinassimo sempre di più, fino ad essere fronte afronte.
Nessuno dei due disse qualcosa, continuammo a fissarci negli occhi per un tempoche mi sembrò infinito, finché io non mi avvicinai e posai le mie labbra sullesue; lui ricambiò all'istante, come se non aspettasse altro che quel momento, espostò le mani sul mio sedere facendo leva per prendermi in braccio; avvolsi legambe intorno alla sua vita ed in un secondo mi trovai sdraiata sul letto conlui sopra. Riuscii a liberarmi dalla sua presa e lo sovrastai, mettendomi acavalcioni su di lui, per poi riniziare a baciarlo; sentii le sue manipercorrermi tutta la schiena, probabilmente in cerca della zip inesistente,così gli facilitai il lavoro sfilando il vestito dalla testa.
«Sei bellissima.» disse staccandosi appena dalle mie labbra. Io come rispostaavvicinai ancora di più il mio corpo ed iniziai a sbottonargli la camicia, conscarsi risultati; lui rise e mi scostò appena, maneggiò con i bottoni e lalanciò al centro della stanza, per poi riprendere a baciarmi. Riuscii anche aslacciargli i pantaloni e mi fermai per un paio di secondi ad ammirare tutti itatuaggi che aveva sul corpo; volevo fargli un sacco di domande ma mi trattennie scivolai al suo fianco, aspettando che lui finisse di sfilarsi i pantaloni.Probabilmente sarò sembrata una squilibrata lì a fissarlo con gli occhisbarrati. Lui non sembrò accorgersene e si ributtò sopra di me, schiacciandomiquasi, per poi levarmi gli slip, che raggiunsero anch'essi il centro dellastanza. Iniziò a baciarmi il collo per poi scendere verso il seno e l'inguine,lasciando una scia umida di baci, ed intanto io ero piena di brividi lungotutto il corpo.

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