13. THANKSGIVING

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Un trambusto continuo proveniente dal piano inferiore mi svegliò, così aprii gli occhi controvoglia. Il sole era già alto e illuminava completamente la stanza di mia sorella, permettendomi di curiosare in giro con lo sguardo. Dopo un paio di minuti mi alzai, facendo molta attenzione a non svegliare Charlotte; notai sul comodino affianco a me una foto incorniciata di lei insieme ad un ragazzo, Reggie presumibilmente, e sorrisi al pensiero che avesse un bravo ragazzo al suo fianco.
Mi svestii e riposi il pigiama nello zaino, prendendo invece i vestiti per il pranzo, dei pantaloncini di Jeans con un top di pizzo nero e un blazer rosso di pelle; dopodiché raggiunsi il bagno e mi truccai e sistemai i capelli, per poi scendere in cucina.
«Buongiorno!» esclamò Serena, circondata da padelle e pentole.
«Buongiorno.» sbiascicai a mia volta «Hai bisogno di una mano?»
«Oh no, ti ringrazio cara, ho già Dean tra i piedi.» rise indicando mio zio in salotto con in mano una pila di piatti.
«Jason è già sveglio?»
«Dovrebbe essere in veranda, raggiungilo pure.» sorrise, cortese.
Era così gentile, ed io mi sentivo così in colpa per averla trattata male anni prima e aver pensato male di lei.
«Non ho mai avuto l'occasione, e il coraggio, di scusarmi come si deve, per il mio comportamento. So che volevate solo aiutarmi e starmi vicino.» bisbigliai sull'orlo della porta.
«Non devi scusarti, Rosie. Sei nostra nipote, ti vogliamo un bene che nemmeno ti immagini. Tua madre era la mia unica sorella, capisco il dolore che provavi e io non sono nessuno per giudicare il tuo modo di gestire il lutto. Non avrei dovuto lasciarti sola.» buttò tutto ciò che aveva in mano sul bancone della cucina e si avvicinò per abbracciarmi. Io ricambiai l'abbraccio, lasciandomi andare.
Forse avrei potuto passare a trovarli più spesso, pensai, staccandomi dall'abbraccio e sorridendo.
Raggiunsi Jason in veranda e lo trovai seduto su una panchina con un calice di vino in mano e gli occhiali da sole.
«Jason, sono le undici del mattino.» annunciai la mia entrata.
«Ne ho uno anche per te, rompi coglioni.» sorrise indicando l'altro calice sul tavolino alla sua destra .Sbuffai e lo afferrai, affiancandolo sulla panchina.
«Hai dormito bene? Io come un re.»
«Sì, mi sono addormentata subito. Ho anche parlato con Charlotte.»
«Spero riusciate a riallacciare i rapporti.» sorrise avvolgendomi con un braccio. Io raggomitolai le gambe al petto e mi appoggiai sulla spalla del mio amico, sospirando.
«Per me è una situazione così strana ... insomma non parlo con queste persone da letteralmente 4 anni e mi trattano come se fossi stata qua la settimana scorsa.»
«Capisco cosa intendi, secondo me non dovresti farti troppe domande e dovresti goderti il momento. Sei circondata da persone che ti vogliono bene.»
«E' esattamente questo quello che non riesco a capire, come possano volermi bene.»
«Rosie? C'è il tuo telefono che continua a squillare.» ci interruppe mio zio affacciandosi dalla portafinestra.
Lasciai Jason da solo e corsi verso la cucina, dove avevo lasciato il mio cellulare. Riuscii a rispondere per un soffio.
«Pronto?» dissi confusa non avendo il numero salvato.
«Ciao Rosie! Sono Denise, mi dispiace disturbarti durante il giorno del ringraziamento.» disse la voce acuta dall'altra parte della linea.
«Ciao Denise, non ti preoccupare, dimmi pure.» uscii dalla stanza per buttarmi sul divano.
«Sei per caso insieme ad Harry?»
«Ehm, no, io sono a Filadelfia dai miei parenti.»
«Oh. Sai dove posso trovarlo?»
«Va tutto bene? Mi sembri preoccupata.»
«Sì sì, va tutto bene, devo andare ora, ci vediamo presto!» esclamò chiudendo la chiamata subito dopo.
Naturalmente non me l'ero bevuta, era chiaro ci fosse qualcosa che non andava e la mia ansia aveva iniziato a fare capolino nel mio petto. Chiamai subito Harry ma non ricevetti risposta, il che mi fece stare peggio. E se fosse successo qualcosa di grave? Provai ad essere razionale e calmarmi, ma finii per agitarmi ancora di più.
Nel frattempo mia sorella scese dalla scale con un vestitino nero e oro, catturando la mia attenzione.
«Come sto? Reggie pranza con noi.» sorrise facendo una giravolta.
«Stai benissimo.» sorrisi cercando di mascherare il più possibile il mio stato d'animo.
Raggiunsi di nuovo Jason in veranda e subito lui captò che c'era qualcosa che non andava. Gli raccontai della mia telefonata con Denise e anche lui si fece dubbioso.
«Sono sicuro che se fosse successo qualcosa te lo avrebbe detto.»
«Io non credo proprio. Comunque sia, ci penserò una volta tornati a New York, non voglio rovinare questa giornata a tutti con il mio umore.» dissi, e quasi mi stupii per il mio livello di maturità.
«Sta arrivando il ragazzo di tua sorella.» bisbigliò il mio amico facendo un cenno con la testa alle mie spalle.
Mi voltai e vidi un ragazzino biondo in giacca e cravatta avvicinarsi con passo svelto e incerto verso di noi; dopo pochi secondi vedemmo Charlotte sfrecciargli incontro. Sorrisi intenerita, sia per la dolcezza della scena che per l'abbinamento dei loro vestiti, quasi da gala. Entrarono e il ragazzo si presentò a me e a Jason, facendomi capire che era già conosciuto ai miei zii.
Dopo poco ci sedemmo tutti a tavola e pranzammo, un pranzo che mi sembrò lungo otto giorni per via degli argomenti trattati. Buona parte della conversazione si basò su Reggie, sul fatto che frequentasse una scuola cristiana prestigiosa e fosse il capitano della squadra di baseball; voti eccellenti, famiglia impeccabile, così come la loro reputazione. Si parlò poi di politica, dove naturalmente Reggie era affermatissimo, a differenza mia e di Jason, in silenzio per gran parte del pasto.
Finimmo alle tre del pomeriggio circa e il mio cervello era troppo annebbiato dalle numerose qualità di Reggie per pensare ad Harry. Mi rinfrescò la memoria il mio amico, però, aumentando il mio malessere, che soppressi a bicchieri di vino.
« ... la nostra Rosie era una cheerleader! Vero Rosie?» sentii tutti gli occhi addosso e mi ripresi dai miei pensieri.
«Ehm, sì.» risposi visibilmente confusa.
«La ex squadra della mamma di Reggie ha vinto 4 volte le nazionali, non è grandioso?» continuò Serena.
«Oh, sì, davvero grandioso.»
«Come mai non hai continuato? Serena ha sottolineato più volte che eri molto brava.» si aggiunse alla tortura il ragazzo di mia sorella.
«Dopo che i miei genitori sono morti non mi andava più di tanto di saltellare a ritmo di musica.» ironizzai, vedendo Jason irrigidirsi con la coda dell'occhio. Tutta la stanza aveva raggiunto una temperatura glaciale e nessuno diceva più una parola.
«Oh, si è fatto davvero tardi.» ruppe il ghiaccio Charlotte «Non dobbiamo andare alla festa dei tuoi genitori?» si rivolse al suo ragazzo, che annuì prontamente.
Dopo vari saluti i due uscirono dalla casa e si recarono verso una Porsche rossa parcheggiata sul lato della strada.
«Rosie, sei stata sgarbata.» mi rimproverò mia zia.
«Per favore, stavamo tutti per essere completamente schiacciati dal suo ego smisurato.» ricevetti un'occhiataccia «In tre ore e mezza di conversazione non ha fatto altro che auto elogiarsi, elogiare la sua macchina, la sua casa, il suo maggiordomo.»
«Grazie mille per l'ospitalità, abbiamo il treno tra poco, è il caso di avviarci alla stazione.» mi interruppe Jason, evitando che andassi troppo oltre nella conversazione.
«Oh, è stato un piacere ospitarvi, potete tornare quando volete.» sorrise Dean, alzandosi dalla poltrona e stringendo la mano al mio amico «Posso darvi un passaggio, se volete.» aggiunse.
«Oh no, grazie, non è necessario, chiamo un taxi intanto che prendiamo la nostra roba.» concluse Jason prendendomi delicatamente per un braccio e portandomi verso le scale.
«Non riuscivi più a trattenerti, eh?» sorrise.
«Lo sai che non sopporto i narcisisti.»
«Io sono l'eccezione però.» mi fece l'occhiolino provocandomi una risata.

***

Eravamo sul treno verso casa, ormai quasi arrivati a New York, ed io ero già alla quinta chiamata senza risposta di Harry. Ero più preoccupata di quanto volessi far vedere e in più non sapevo cosa pensare. Era insieme ad un'altra ragazza? Anche se fosse non avrei potuto dire niente, non stavamo insieme ufficialmente, non avevo nessun diritto di arrabbiarmi; e se avesse voluto non vedermi mai più? Non gli avrei dato torto, magari lo avevo spaventato con i miei problemi eil mio passato.
Le mie domande non trovarono risposte finché non scesi dal treno e lo trovai seduto su una panchina della stazione con la testa china. Scesi velocemente e lo raggiunsi, pronta ad inveirlo.
«Brutto stronzo, perché cazzo non mi hai risposto al telefono, ero preoccupata a morte.» sbottai senza nemmeno salutarlo.
Lui alzò la testa e io notai le sue guance rosse e gli occhi socchiusi.
«Sei ubriaco?»
Annuì lentamente e provò ad alzarsi. Lo aiutai con svariate difficoltà e lui finì per accasciarsi tra le mie braccia.
«Va tutto bene? Parlami.» sussurrai al suo orecchio.
«Niente va bene.» sbiascicò in modo poco comprensibile «Volevo vederti, sono seduto qua da ore» aggiunse.
Nel frattempo ci raggiunse anche Jason, che mi aiutò a trascinarlo fino a casa nostra. Il viaggio fu estremamente lungo e lento ed Harry non spiccicò parola. Appena arrivati in appartamento lo portai nella mia stanza, dove lo stesi sul mio letto e gli levai giacca e scarpe; mi sdraiai al suo fianco e sentii un braccio pesante cadere sulla mia pancia.
«Mia mamma ... si sposa ...» riuscì a dire dopo svariati minuti.
Io mi girai su un fianco e lui fece lo stesso, mettendoci faccia a faccia.
«Non sei contento?»
«Si sposa con ... il suo spacciatore ...» disse stringendomi fortissimo al suo petto.
Io mi trovai molto confusa, non sapevo sua madre fosse una tossicodipendente, mi aveva detto solo che abusava di ansiolitici.
«Mi aveva detto che ne era uscita ... e ha pensato bene di chiamare me e mio padre oggi per rovinarci la festa.» sentii delle lacrime atterrarmi in fronte.
«E' per questo che ti sei ubriacato?» mi staccai dalla sua presa guardandolo negli occhi e lui annuì.
«Nonostante abiti in un altro continente ... riesce ancora a rovinarmi la vita ...»ormai le lacrime scendevano liberamente sul suo viso.
«Non permetterle di farlo.»
«Non posso fingere che non mi importi di lei! Ho passato anni e anni e anni a nascondere medicinali, portarla in braccio quando non era cosciente, chiamare ambulanze! Lo sa che nonostante mi abbia fatto passare l'inferno sono sempre qua come un coglione quando ha bisogno di me.»
«Harry devi mettere il tuo bene al primo posto. Non puoi fare nulla ora per aiutarla ...» cercai di essere il più confortante e dolce possibile.
«Vuole che vada in Inghilterra per il suo matrimonio, ma io non posso farlo Rosie, non posso vederla rovinarsi ancora la vita.»
«Non farlo, non andare. Non sei solo, ci sono io con te.»
«Sei la cosa più bella che potesse capitarmi.» bisbigliò per poi chiudere gli occhi, ancora bagnati dalle lacrime.
Il mio cuore accelerò ed io sorrisi a trecentosessanta gradi, anche se una parte di me sapeva che era l'alcol a parlare e non Harry.
«Voglio che quando prendi lo xanax o qualsiasi altro psicofarmaco, anche solo una goccia, mi avvisi, per favore.» riaprì gli occhi di colpo.
«Harry non ti devi preoccupare per me, davvero.» gli accarezzai i ricci.
«Io lo so che sei triste, voglio potertela levare io la tristezza, non le medicine.» sbiascicò, chiudendo di nuovo gli occhi.
Mi si sciolse il cuore, sia per le sue parole che per la sua preoccupazione nei miei confronti. Non ero triste, sicuramente non ero la ragazza più felice del mondo, ma stavo imparando ad apprezzare quello che avevo intorno, da Harry e Jason a il mio lavoro e la mia casa; nulla avrebbe potuto riportare indietro i miei genitori, nulla avrebbe potuto cambiare il mio passato, quindi tanto valeva non pensarci. L'unico problema si poneva quando questi pensieri si presentavano in modo spontaneo nella mia mente, attraverso ricordi nitidi e sogni lucidi, da lì non potevo scappare, o fingere. Ero sicura che con gli anni tutto il dolore si sarebbe affievolito fino a diventare un ricordo lontano, sarei stata finalmente felice, felice completamente, non solo in parte.
Dei leggeri colpi sulla porta della mia stanza mi prelevarono dai miei pensieri e la faccia di Jason comparve nella penombra.
«Va tutto bene?» sussurrò.
«Sì, è solo un po' sotto shock. Spero che domani me ne parli meglio da sobrio.»
Il mio amico annuì e mi diede un bacio da lontano, che ricambiai; levai camicia e pantaloni a Harry –con molte difficoltà- ed infine mi svestii anche io, restando in intimo, così mi buttai affianco al suo fianco, coprendoci entrambi con il piumone. Mi accoccolai a lui e chiusi gli occhi, noncurante del fatto che fossero solamente le nove di sera, esausta dal più improbabile giorno del ringraziamento che avessi mai vissuto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 13, 2021 ⏰

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