Parte 13

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Andammo in un minuscolo bar lì vicino. Avevamo già ordinato e tra di noi c'era un silenzio assordante. Non volevo essere io la prima a parlare, aspettavo che lo facesse lui, ma con ogni minuto che passava mi dispiaceva di più per come mi ero comportata e trovai il coraggio di parlare.

-"Giuseppe, mi dispiace. Mi sono comportata male prima, non mi avrebbe dovuto dare fastidio che tu parlassi con quella donna. Cerco solo di non perderti già prima di partire, voglio che tu sia mio e io sia tua almeno per questi pochi giorni. Ecco, volevo dire questo."

Appoggiò il suo braccio sul tavolo e aprì la mano. Io feci lo stesso e gliela strinsi forte. Era impensabile partire col pensiero di non vederlo mai più.

-"Anche a me dispiace per le cose che ti ho detto. Non avrei dovuto affrontare un argomento così delicato in questo modo", sorrise.

-"Facciamo che non pensiamo più a questa cosa, per favore. E poi non ha neanche senso parlarne, tanto sappiamo tutti e due come andranno le cose e che non possiamo fare niente per cambiarle", avevo un nodo in gola e le lacrime iniziarono a scorrere. 

-"Basta piangere ora, dai."

-"Scusami, è che proprio non mi piace litigare con le persone e dopo mi dispiace così tanto... Dai, basta, ora smetto".

Portai la sua mano alle mie labbra e le diedi un leggero bacio. 

-"E per quel problema? Avevi detto che la gente ci osserva e che forse ne parleranno nei giornali, di me e te dico", chiesi preoccupata. In effetti aveva ragione, non eravamo stati molto attenti a non farci vedere insieme da nessuno. Rimase in silenzio, poi disse solo che alla fine andrà tutto bene.

Gli offrii il macchiato e iniziammo a cercare un ristorante, erano le una passate e iniziavamo ad avere fame. La pioggia non cessava e correvamo da un lato della strada all'altro per chiedere dove ci fosse un buon posto dove mangiare. Trovammo una pizzeria carina. Ci portarono in un grande giardino con piante di ogni tipo e un tetto di vetro che faceva passare quella luce bianca delle nuvole, sembrava quasi il vivaio di quella mattina. 

-"Prima mi è venuta in mente una domanda per te", dissi masticando la mia margherita. Lui sorrise.

-"Così però mi spaventi", scherzò e io sbuffai.

-"Ascoltami, invece di fare lo spiritoso! Allora, volevo chiederti com'è incontrare tutti questi presidenti degli altri paesi, persone con le quali non andresti mai d'accordo ma devi perché c'è tutto il mondo che vi osserva. Prendi Putin, lui è il peggio del peggio e non penso che ci andresti d'accordo se foste persone normali. Invece devi. Com'è fingere questa gentilezza per persone che non sopporti per non essere bombardato o cose del genere?"

-"Ma che domanda è? Mi aspettavo qualcosa come: cosa fa il Presidente del Consiglio tutto il giorno? Quanto lavori? Chi ti sta più sulle scatole di tutto il Parlamento?"

Rise e io feci una faccia offesa.

-"Io mi impegno a farti domande profonde e tu mi tratti così?"

-"Dai, giornalista, fammi mangiare in pace". Uff. A quanto pare non gli andava di parlare di lavoro con me.

-"Allora almeno dammi un bacio".

Lui si guardò intorno, si piegò in avanti e mi diede un bacio al sugo di pomodoro.

-"Grazie, era il minimo".

Finimmo di mangiare quando erano le due, lui pagò e uscimmo.

-"Che si fa? Torniamo a casa?"

-"Sì, ti porto a casa".


Grazie per  tutte le lettrici e tutti i lettori, siete aumentati incredibilmente negli ultimi giorni!!




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