Capitolo 1

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Capitolo uno.

Fate attenzione alla tristezza. È un vizio.
(Gustave)

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Mi alzo di scatto, affannosamente, guardandomi intorno con la fronte imperlata di sudore.
Era solo un incubo. Uno stupidissimo ed irreale incubo.
Scendo dal letto sospirando, prima di camminare verso la cucina, dove trovo mia madre, contro un muro. Piange in un solo giorno dell'anno. Quello della mietitura.
La abbraccio da dietro, cercando di calmarla, ma lei si divincola e si ritira in camera sua, non prima di avermi lasciato latte e formaggio sul tavolo.
Da quando è morto mio fratello, cinque anni fa, per gli Hunger Games, ha cercato in tutti i modi di evitare che io prendessi le tessere. Ma ci servono, per sopravvivere ed io ho disubbidito. Credo che provi rancore per questo. Ma l'ho fatto solamente per sopravvivere, evitando di morire di fame. Il suo misero stipendio non ci aiuta minimamente, e questo è dovuto per il suo orrendo lavoro.
Finisco la mia colazione e scaldo l'acqua, per farmi un bagno, che sicuramente è uno dei lussi che ci procuriamo raramente nel distretto 7.
Neanche il sindaco l'ho fa così spesso. Ma in realtà non ci importa. Siamo troppo impegnati a sopravvivere per pensare al nostro aspetto. O odore.
Ma nel giorno della mietitura è un eccezione. Dobbiamo essere al meglio, ognuno con il suo miglior vestito, pettinati e profumati.
Mi immergo nell'acqua calda, sorridendo inconsciamente. I miei muscoli si rilassano immediatamente, il che mi fa sentire molto meglio.
Chiudo gli occhi e mi sistemo meglio, ma sentendo mia madre entrare nella camera, mi metto composta cercando di assumere un espressione seria. C'è come un tacita regola tra di noi che ci impedisce  di sorridere in questo giorno dell'anno. Visto che è stato questo giorno ad uccidere mio fratello, cinque anni fa. Lei mi lascia dei vestiti, ed io la ringrazio uscendo dalla vasca. Esce di nuovo mentre mi asciugo rapidamente e mi infilo il lungo e comodo vestito di colore giallo. E che fortunatamente mi sta ancora, visto che non spenderei mai soldi per un vestito. Sarebbe inutile.
Cerco di legarmi i capelli, ma fallisco visto la mia limitatissima bravura. Busso lentamente la porta della camera di mia madre, e dopo aver sentito la sua voce, entro.
Mi lega i capelli in una ordinata coda con un laccio rosso prima di lasciarmi un leggero bacio sulla guancia, che mi sorprende ma non mi dispiace.
Una volta, ricontrollata, allo specchio, la saluto con un abbraccio, prima di camminare in piazza.
È già molto affollata, il che sottolinea il mio leggero ritardo. Mi metto accanto alle ragazze della mia età, diciassette, e tengo lo sguardo basso. Non ho intenzione di parlare o salutare nessuno. Non è sicuramente il momento. O il giorno.
Sento la voce del sindaco, che ci racconta dei giorni bui, del trattato di tradimento, degli Hunger Games. Poi legge i nomi dei vincitori che provenivano da questo distretto, e possiamo vantarci di una lista non breve.
Alzo lo sguardo quando sento Losuan, una donna esageratamente allegra e colorata, parlare. Se l'avessi incontrata in un altro giorno, non avrei evitato di prenderla in giro. Stupidi capitolesi.

"Buoni Hunger Games! E possa la sorte essere sempre a vostro favore!"

Ha una voce squillante, il che mi irrita molto. Mi irrita lei, il suo accento da Capitol City, e Capitol City. Mi irritano gli Hunger Games, e la mietitura. Mi irrita il fatto di mettermi a tiro per quei idioti, e mi irritano queste telecamere che continuano a girare.

"Cominciamo con le estrazioni! Come dico io, prima le donne!"

Sorride avvicinandosi alla grossa boccia, dove contiene almeno 28 striscioline con il mio nome. La piazza si fa silenziosa, nel momento in cui affonda la sua mano nella boccia. La muove un po, ed afferra un nome.
Tutti sono con il fiato sospeso, ed io non riesco ad evitare di staccare gli occhi da lei.
Legge il nome silenziosamente, e cammina al centro del podio.

"Diana Favela!"

Urla.
Il nome è quello. Diana Favela. Il mio nome. Tutto si fa lento. Distante. Sento lontanamente le urla di mia madre. Mi sento come se fossi in un cupola che attutisce i rumori. Tutti gli occhi sono fissi su di me, mentre esitante cammino sul podio.
Vedo che dei pacificatori la tengono ferma. Si sta divincolando. Losuan mi abbraccia, prima di sussurrarmi all'orecchio che andrà tutto bene.

"Qualche volontario?"

Domanda squillante mentre io osservo silenziosa Panem.
Sento le guance bagnarsi, e mi affretto  ad asciugarle furiosamente dandomi della stupida mentalmente. In questo modo non faccio altro che mostrarmi debole.
Non risponde nessuno ovviamente. Nessuno. Losuan sospira silenziosamente prima di avvicinarsi molto velocemente alla boccia dei maschi. Afferra il primo nome che trova e ritorna al centro del podio.

"Jason Oscar!"

Urla perdendo tutto il suo entusiasmo. Il ragazzo dai capelli scuri ma occhi tremendamente chiari, si avvicina con un espressione impassibile sul volto.
Mi stringe la mano, e mi rivolge un leggero sorriso. Come per dire:"che sfiga!"
Non faccio altro che ricambiare.
Ci dirigono al palazzo della giustizia, e ci dividono in due stanze. Dopo qualche minuto entra mia madre correndo, abbracciandomi con talmente forza, da farmi male.

"Oh Diana..."

Singhiozza ed io so esattamente cosa sta pensando. Sta pensando che non ho nessuna speranza. Che non sono brava in nulla. Che infondo, ha ragione. Non so correre veloce, non so procurarmi da mangiare, non sono brava con un arma. L'unica, che si può definire, virtù è la precisione della mia mira. Ma questo non mi aiuterà a sopravvivere.
I pacificatori entrano, e cercano di portarla via, ma io le afferro la camicia e la tiro tra le mie braccia. Il tempo è dannatamente poco.
La tirano via da me, molto bruscamente, facendola cadere.
Urlo. Urlo il più forte che posso, e mi scaglio contro un pacificatore che mi spinge via. Urlo di nuovo, e scoppio a piangere, perché ho capito realmente che questa sarà probabilmente l'ultima volta che la vedrò.

La 59esima edizione degli Hunger GamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora