Capitolo 11.

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Ci sono, e ci saranno sempre, inevitabilmente, giornate no. Quelle giornate in cui non hai la forza, né la voglia di fare niente. Quelle giornate in cui vorresti solo stare nel letto a leggere o guardare qualche episodio della tua serie tv preferita, oziando per tutto il giorno, desiderando di fonderti con il materasso e le coperte, con una riserva infinita di patatine con cui puntellarti di tanto in tanto, magari. 

Ecco, questa è una di quelle. 

Mi sento svogliata, privata da ogni tipo di forza, come se una forza strana abbia risucchiato via dal mio corpo la voglia di reagire, di vivere. Come se mi fossi trasformata in un fantasma che vaga sulla terra senza una meta precisa.

Sento freddo, dei piccoli costanti brividi di freddo mi pungono dalla punta delle dita dei piedi fino alle mani che rimangono costantemente fredde, nonostante i costanti tentativi di riscaldarle sotto l'acqua calda. Per non parlare del naso poi, lo sento freddo. Come se fossi dispersa nel polo nord e non nascosta sotto delle calde coperte, rintanata e al sicuro in camera mia.

Vorrei tanto sbagliarmi, ma credo che mi stia per prendere un bel malanno. Come ogni anno d'altronde. Ci fosse un anno in cui non mi ammalo in questi periodi; è una consuetudine, ormai. Tendo sempre a beccarmi l'influenza più nei periodi che vanno da settembre a gennaio. 

Ricordo che da piccola, una volta mi ammalai e rimasi con la febbre per quasi un mese. Si abbassava e si alzava a tempi alterni, è stata una vera e propria tortura.  Rimanere costantemente rintanata sotto le coperte senza poter fare nulla, vedere gli altri bambini che correvano e giocavano per la stradina sotto casa mia. Sentire le loro urla di gioia, le imprecazioni di ragazzi più grandi che cascavano giù dallo skate. 

Vedere tutti gli altri vivere mentre io rimanevo immobile.

Vedere come la vita continuava, imperterrita, ad andare avanti mentre io me ne stavo a consumarmi dentro, fissando notte e giorno un triste muro niveo. 

Per non parlare della preoccupazione di Charlie e Giordana, era il mio primo anno con loro, per me erano ancora persone da cui guardarmi le spalle, degli estranei. Intrusi che volevano solo appropriarsi della mia quotidianità mutandola per fonderla con la loro. Parassiti, quasi.

Se solo avessi saputo che persone stupende fossero, avrei potuto bellamente evitare di stare in allerta ogni qualvolta che uno di loro due entrava in stanza.

Eppure, nonostante tutto, loro non hanno mai gettato la spugna. Hanno sempre continuato a darmi tutto l'affetto possibile, per quel che gli permettevo di fare a quei tempi. Ero molto schiva, e troppo poco incline ad aprire ogni genere di rapporto con loro per dargli la possibilità anche solo di farmi una carezza. Sì, ero piccola. Una nanerottola capricciosa e tremendamente testarda. Testa dura come il muro, apparentemente acida, ma la realtà è che non avevo nessuno con cui mostrarmi propensa all'affetto. Non mi era rimasto più nessuno.

Ero una bambina, una bambina ingenua alla quale sono state strappate le ali prima ancora che crescessero. Ero una bambina alla quale la vita aveva estirpato le ali dalle radici. Ero, e sono tutt'ora quella bambina, ma con un paio di ali nuove. Nuovi toni, nuove piume... certo, non saranno mai quelle autentiche, però mi permetteranno di spiccare il volo e
scagliarmi contro le correnti della vita che mi dirotteranno sempre in direzioni diverse.


«Ivy, stai bene?» sento un sussurro lontano, accompagnato da una flebile carezza sulla guancia lasciata scoperta, che sento leggermente fredda in confronto al tocco caldo.

«Mhmm» mormoro, tenendo ancora gli occhi chiusi e comprendendo benissimo che chi ha interrotto il mio sonno, è proprio Charlie.

«Dai, su! Svegliati che è pomeriggio, dormigliona che non sei altro», continua iniziando a scrollare leggermente la mia spalla, affinché io apra gli occhi.

Dammi un bacioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora