due

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Dopo venti minuti accostiamo sulla strada e procediamo a piedi. Iniziamo a sentire il suono della musica, o meglio, dei bassi, che provengono da una meravigliosa casa bianca, in stile coloniale, piena di ragazzi e ragazze che hanno circa un anno in meno di Oliv e che fanno continuamente dentro e fuori sul giardino antistante e, probabilmente anche su quello posteriore.
Entriamo e subito Dolly ci abbandona per approcciare con un bel biondino, dall'aria imbronciata. Io ed Ev ci guardiamo e sappiamo che per stasera l'abbiamo già persa.

Appena varcata la porta, veniamo conquistate dalle luci colorate e dalla massa di ragazzi accalcati che ballano e si dimenano in quella che dovrebbe essere la sala. È una grande stanza con due divani in pelle bianca e delle grandi vetrate da cui si vede il giardino, anch'esso pieno di ragazzi, e la piscina interrata dove intravedo Ryan, un ragazzo che è nel corso di storia con me, buttarsi per poi ritornare a galla con gran velocità.
Oliv mi prende per mano, risvegliandomi dai miei pensieri, e mi trascina verso la cucina, dove un ragazzo della squadra di football sta preparando dei drink. Mentre passiamo tra la folla mi imbatto in Jo, una ragazza con cui ho scambiato qualche parola durante l'ora di informatica, lei è un vero genio dei computer. Le sorrido e lei fa altrettanto per poi riportare l'attenzione sulla mora davanti a lei.

Dopo aver aspettato una ventina di minuti, ancora non riusciamo a raggiungere il bancone, che altro non è che la penisola di una cucina. Così Oliv, ormai abituata alle masse di persone spintona qualche ragazzo e ci fa passare tutte avanti.
Prendiamo tre mojito, uno dei pochi drink che riesco a bere senza ubriacarmi al solo odore. Reggo talmente poco all'alcol che per un breve periodo sono stata soprannominata Peach (Pesca) perchè Dolly una volta a mensa disse «Daisy è capace di ubriacarsi anche con il succo di frutta alla pesca».
Ci avviamo verso quella che si può considerare la pista da ballo in mezzo ad un salotto enorme. Non passa molto che tre ragazzi vengono a farci compagnia. Sono tutti e tre della squadra di football. Anche se non so i loro nomi, so che sono dei pezzi grossi della scuola, di quelli che tutti gli anni vengono nominati per il Re del ballo e hanno una coppa con il loro nome sopra nella teca dei trofei. Uno, quello che si è messo vicino ad Oliv, ha i capelli rasati, mentre gli altri due hanno dei morbidi riccioli castani che gli ricadono sulla fronte.
«Ciao ragazze» dice quello rasato.
«Ciao» risponde civettuola Oliv.
«Siete della scuola?» chiede il moro vicino a me. Guardandolo meglio noto che ha un piccolo piercing sulle labbra e non posso fare a meno di pensare al dolore che deve aver provato a farselo. Mi ricordo quando da piccola ho fatto i buchi alle orecchie, sono stati un'incubo, non credo di aver mai pianto così tanto, ma ne è valsa comunque la pena, visto che dopo potevo finalmente mettere gli orecchini con le ciambelle che mi aveva regalato una signora ad un mercatino.
«Si, siamo al quarto anno» risponde Oliv per tutte e tre. Le lancio un'occhiata stranita ma lei non ci fa caso.
«Vi va di ballare un po'?» chiede il ragazzo vicino ad Ev.
«Certo» risponde la mia migliore amica con un sorriso smagliante.

«Il gatto ti ha mangiato la lingua?» Mi chiede il ragazzo con il piercing.
«No» rispondo imbarazzata, non sono abituata a questo genere di situazioni, lo vedrebbe chiunque.
«Vieni» mi prende per mano e mi porta verso il centro della pista. Mi fa girare in modo da dargli la schiena e mi appoggia le mani sui fianchi. Sento qualcosa premere sul mio fondoschiena ma vedendo le facce di Ev e Oliv mi tranquillizzo, visto che entrambe sono nella mia stessa situazione.
Sposto i miei capelli su una spalla in modo da rinfrescarmi il collo e subito dopo sento le sue labbra umide poggiarsi proprio lì.
Sul momento rimango immobile, mentre lui continua a baciarmi e toccarmi i fianchi, quando sento che i miei polmoni non incamerano più aria, cerco di spostarlo in modo da uscire, ma il ragazzo non sembra voler collaborare.
«Devo uscire» mormoro cercando di spostare le sue mani dai miei fianchi.
«Che c'è è la prima volta?» chiede con un sorrisetto sbruffone.
«Si, quindi per favore lasciami» dico scocciata.
«Va bene verginella, non sei neanche tanto carina» sputa malignamente, lasciandomi andare.
Ferita nell'orgoglio, mi sento respirare pesantemente, forse addirittura tremo. Mi avvio verso le ragazze per avvertirle. Oliv si fa strusciare da uno dei tizi senza farsi troppi problemi, e questo non può credere ai propri occhi di avere una come lei per le mani.
«Ragazze io vado un po' fuori, okay?» dico cercando un modo per passare in mezzo a tutti quei corpi.
«Perché? Ci stiamo divertendo» dice Oliv.
«Voi restate qui, ho solo bisogno di un po' d'aria, torno subito» dico sorridendo, per farle capire che voglio stare un po' da sola.
«Va bene, ma poi torna qui, intesi?! E niente alcolici».
Annuisco, poi inizio a farmi spazio tra la gente che balla.
Arrivata alla porta, quasi mi manca l'aria, ma il giardino anteriore della casa è pieno di gente che va e viene, ho bisogno di più tranquillità.
Esco sul lato posteriore, aggiro rapidamente la piscina.
La casa è circondata da un'enorme giardino, delimitato da dagli alberelli alti e sottili, al di là di essi si intravede, in lontananza, una casetta in mattoni, con una luce accesa. Chiunque ci abita non andrà a letto molto presto vista la musica e alcuni urli dei ragazzi ubriachi.
Appena fuori dalla portata della confusione, mi sento già meglio, non avere quel ragazzo attaccato e la musica assordante nelle orecchie mi dà un'immediata sensazione di sollievo. Vado a sedermi su un muretto che divide la proprietà dalla strada posteriore, vicino al cancello che porta ai garage, e per rilassarmi guardo il cielo.
Mi hanno sempre affascinato l'universo, i pianeti e le stelle.

I miei pensieri vengono interrotti, da un forte rumore come di sirena, ed un altro come di continui colpi, che proviene dalla strada.
Anche se so che me ne pentirò, vado a controllare.
Vedo un gruppo di ragazzi con una mazza in mano, il rumore continuo che sento è l'allarme dell'auto, che stanno colpendo con delle mazze.

Sono cinque ragazzi dalla corporatura atletica e slanciata. Sono tutti vestiti di nero ed hanno i cappucci delle felpe sulla testa, il buio ed il loro abbigliamento non mi permettono di vederli.
Hanno colpito tutti e quattro i finestrini, e ora se ne stanno lì con il sorriso sulle labbra, ad ammirare il lavoro svolto.
In questa cittadina così tranquilla è raro anche solo sentir riportare dai giornali, gesti del genere. Siamo talmente poco abituati a tutto questo che sul momento, al posto di tagliare la corda, rimango come stordita, l'unico gesto criminale, se si può definire così, che ho visto in tutta la mia vita è quando Dolly ha rubato un lucidalabbra in un negozio, ma quello che vedono ora i miei occhi va ben oltre il rubare uno stupido trucco, questi ragazzi stanno commettendo un vero e proprio reato e ne sembrano anche molto soddisfatti.
Prima che possa tornare alla festa, lo sguardo di uno di questi ragazzi si posa su di me, lo sento oltre il cappuccio, chiaramente indirizzato verso la mia figura.
«Ma chi abbiamo qui?! Ti sei forse persa, tesoro?» chiede il ragazzo, avvicinandosi a me mentre fa oscillare la mazza.
«Stavo giusto tornando alla festa, ehm ciao» faccio per voltarmi, ma il ragazzo mi afferra il polso.
«Non crederai che ti lasci andare per dire a tutti quello che abbiamo fatto?! O mi credi stupido?»
«No certo che no, ma ehm non ho visto niente» dico quasi tremando.
«Oh non hai visto niente, ragazzi avete sentito? La ragazzina non ha visto niente» dice voltandosi verso di loro.
«Dai Jaz andiamo» dice uno dei ragazzi, dal cappuccio spunta un ciuffo di capelli scuri, ma non riesco a vedergli gli occhi, per via della poca luce. La sua voce tradisce inquietudine, vorrebbe andarsene al più presto, come me.
«Andremo via solo quando lo dico io, intesi?» ruggisce questo Jaz al ragazzo dai capelli neri.
«Guardala, è terrorizzata, magari è pure mezza sbronza, non racconterà niente, e poi è quasi l'una e mezza, tra poco la festa finirà e noi non dobbiamo farci trovare qui».
Sul momento non do molto peso a quello che dice, ma poi ricordo la promessa fatta a mia madre.
«Cazzo» sussurro.
«Cos'hai detto?» mi chiede Jaz, indispettito.
«Ehm scusa, ma dovrei già essere a casa, lasciami il polso, ti prego» dico con la maggior calma possibile.
«Oh la ragazzina deve andare a casa, perché non l'hai detto prima, certo ora sei libera, vai e insegui i tuoi sogni» dice ironico. Tutti ragazzi si mettono a ridere, a parte il moro.
«Le mie amiche mi staranno cercando, per favore» dico sull'orlo delle lacrime.
Se fossi stata su quel maledetto muretto niente di questo sarebbe successo, la mia timidezza mi abbandona sempre nel momento sbagliato.
Prima che Jaz possa dire qualcosa, il ragazzo moro lo affianca e con forza stacca la mano del suo amico dal mio polso.
«Il gioco è durato abbastanza, Jaz, ora dobbiamo andare» dice con i cappucci scuri che si fronteggiano. C'è un momento di silenzio incredibilmente elettrico tra i due, infine Jaz arrabbiato si gira senza dire una parola e va dagli altri.
«Sta più attenta la prossima volta, ragazzina» mi dice il ragazzo moro, per poi girarsi e raggiungere i suoi compagni. Poi ci ripensa e torna sui suoi passi.
«So com'è il tuo volto, se dici che siamo stati noi, ti verremo a cercare». In questi pochi secondi intravedo i suoi occhi, hanno uno sguardo intenso, ma privo di rabbia.
La sua voce è ferma, ma non mi suona minacciosa.
Quando smetto di pensare a questo, lui è già in fondo alla via.

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