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Quella tazza tenue poggiava sul piattino in porcellana.

Il liquido contenuto ondeggiava dal tremolio del tavolo.

"Assaporami"
Silenzio.

"Prendimi"

"Strappami"

Le note di quella voce eccheggiavano nella stanza, galleggiavano sopra quell'oceano d'ossigeno.

Un tocco su una delicata tazza con entrambe le mani, la sfioravano, la accarezzavano esitanti.

Il contenuto leggiadra dal tatto.

E oggi dove siamo?

Non c'erano vie, porte, finestre.
Solo una bifora.
Una piccola finestra divisa in due, contornata da una cornice in marmo grezzo.

Sbatto le palpebre.

Quel poco di muro visibile tra gli scaffali era di un rosa pallido.
Molti ornamenti in ceramica abbellivano i contenuti in legno d'abete.

Spirali privi di colore decoravano la parete rosacea, chi proporzionalmente e chi non.

"Guardami"

"Parlami"

"Notami"

Non c'era nessuno.

Osservando il riempio del bicchiere vedevo il mio riflesso.

Sto continuando a vivere nei sogni, come ogni notte.
Mi sento strana, avevo la necessità di strapparmi la pelle, avevo voglia di graffiarmi, avevo bisogno di farmi male.

Alzandomi da quella sedia in bianco abbastanza in disuso, si potevano vedere i pezzi staccarsi.

Camminando mi avvicinavo a quei armadi, toccarli, sentirli.

Erano mal andati, molte schegge sgusciavano dalla struttura, graffio quel che rimane del legno, i strati si scollavano, spogliandoli evidenziando i loro difetti.

Le prime lacrime rosse sbordavano dalle mie unghie, scivolavano via lasciando un campo di papaveri alle spalle.

Perché è tutto così calmo.

Non c'era alcun suono a quel momento, solo il mio respiro.

Mi volto verso un lato del muro, differente dai altri, non aveva alcuna connessione con quelli circostanti, in confronto a loro essi era vuoto.

Un colore con la luminosità teoricamente nulla, senza tinta, assenza di tonalità.

Metteva paura, delle vibrazioni inquiete.

Voglio avvicinarmi ma non riesco, i miei piedi erano pesanti, le mie ossa bloccate.
L'unica cosa che sapevo fare era indietreggiare, scappare.

Perché ho paura.

Non ha senso temerlo.
Perché ci rassicura il bianco ma non il nero.
Perché il bianco deve essere per forza quello buono.

Quella tazza era ancora là, poggiata sul tavolo, inerme.
Ogni passo che compievo più la tensione saliva.

Era troppo tranquilla, mi infastidiva.

Continuavo a sentirmi osservata, ma intorno c'erano solo quei strati di muro.

Non capisco più nulla.

Dove sono.

Che cazzo è sto posto.

Troppo silenzio.

Basta basta basta.

Prendo la tazza e la lancio per terra.
Le gocce del liquido si schiantarono sul muro nero.

𝐵𝑜𝑟𝑑𝑒𝑟𝑙𝑖𝑛𝑒 𝐻𝑎𝑝𝑝𝑦 ○● Suna Rintarō x reader ●○Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora