Capitolo 33

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Le mani sudate e i nervi a fior di pelle. Credo di avere le guance rosso fuoco dal dolore e dalla rabbia, dalla stanchezza e dalla pesantezza che mi hanno accompagnata per tutta la mattinata. Mi asciugo i palmi sui jeans, prima di decidermi ad aprire la porta.

La spalanco con ostentata sicurezza, e come immaginavo me lo ritrovo di fronte. Ryan siede sotto a una finestra, per terra con la schiena abbandonata al muro. Un ginocchio piegato, su cui poggia il suo gomito lasciato scoperto dalla maglia a maniche corte. È bello come un angelo caduto.

Deglutisco.

Avevo sperato fino all'ultimo che non fosse in casa.

Dopo dei secondi -lunghi come secoli- di stallo, esitante dal non sapere cosa fare o cosa dire, sbatto con foga la porta per richiuderla. Mi avvio alla camera, decisa a farmi le valigie il più velocemente possibile per lasciare questo incubo, ma la sua voce spezzata mi dà una fitta al cuore.

- Mi dispiace - dice, con quella voce corposa che tanto amo.

Mi fermo, dandogli le spalle e serrando forte i denti per trattenere le mie lacrime. Il solo vederlo mi porta alla deriva. Credo di non riuscire a sopportare tutto questo.

Non rispondo. Percepisco il fruscio dei suoi movimenti lenti e instabili e capisco che si sta alzando.

- Ho perso il controllo, - continua, quasi in sussurro - ho passato la mattinata a rielaborare tutto ciò che è successo. Sono andato alla cena direttamente dopo lavoro. Ho preso un bicchiere di vino bianco, poi mi è stato offerto un rosso. Da lì la memoria salta a sprazzi da un orario all'altro, e quel poco che ricordo davvero è confuso e ricolmo di sagome deformi e irregolari -.

Prende un inspiro ansante, come se parlare gli trafiggesse la gola ad ogni parola.

All'eco sordo di un suo passo, mi volto, le guance già rigate di lacrime silenziose. Sto trattenendo il respiro nel petto per non singhiozzare, ma mi pare solo di poter esplodere ancora di più, così.

- Ho la vista annebbiata di te - mi dice, fissando i miei occhi bagnati.

- Te, che mi guardi con due occhi enormi. Sai cos'ho visto? Palle da biliardo blu. Al posto dei tuoi occhi. Ma una voce nascosta dentro di me sapeva che qualcosa non andava -. Anche i suoi occhi sono lucidi. Completamente rossi, probabilmente più dall'effetto della droga che gli è stata somministrata che dal pianto.

Singhiozza, oscillando verso una sedia. Non riesce a stare in piedi. Rimango ad osservarlo, tremante, con goccioloni che prima mi annebbiano la vista e poi solcano il mio viso prendendo ogni direzione possibile.

- Era come se stessi lottando contro me stesso. Il mio corpo non rispondeva come volevo io. Non sono riuscito nemmeno a parlarti - ogni sua parola è un'agonia. Per lui e per me.

Vederlo. Ascoltarlo. Ogni attimo qui dentro è una ferita che non riuscirò a ricucire.

- Mi dispiace, Elena.

- Basta - la mia voce esce a fatica, è un sospiro che vacilla. Ryan mi guarda ancora, afferrando i miei occhi, non capendo o non volendo capire.

- Basta - dico più forte, col cuore che mi pompa pure nelle guance.

- Elena - singhiozza lui, muovendo la testa disperato.

- Non chiamarmi. Non chiamarmi mai più - tiro su col naso, passandomi il dorso delle mani sugli zigomi.

- Sarai anche stato drogato. Incastrato e preso in giro quanto vuoi. Ma hai fatto... quello che hai fatto. E questo non te lo perdonerò mai -.

Gli volto le spalle tra sussulti che non riesco più a contenere, mi chiudo in camera e mi lascio scivolare lungo la porta fino a rannicchiarmi a terra, completamente avvolta da un pianto incontenibile.

Non riesco a percepire il tempo che mi scorre addosso. Non so dopo quanto tempo io riesca ad alzarmi da terra e a rovesciare l'armadio di tutte le mie cose. Senza piegare nulla, riverso ogni mio oggetto nella valigia, consapevole che le piccole cose nostre raccolte in questo periodo di convivenza saranno abbandonate alla sorte.

Quando esco, tirando senza forze la valigia, Ryan è lì dove l'avevo lasciato, con gli occhi ancora più liquidi e arrossati.

- Non ti ho mai meritata - mugugna.

- Non venirmi a dire queste stronzate. Non ora, Ryan. Prenditi le tue responsabilità una buona cazzo di volta - mi faccio cattiva nel lessico, ma il tono è ancora quello disperato e vacillante di prima.

- Non andartene. Ti ho lasciato l'appartamento. Me ne vado io, già ora. Sarò da mio padre per un paio di giorni, poi tornerò in America -.

La valigia mi cade dalle mani. In qualche modo, il suo peso si trascina anche il mio corpo a terra.

- T-te ne vai... con lei - realizzo, completamente a pezzi.

Ryan mi si avvicina, scuotendo energicamente la testa.

- No. Mai e poi mai. Lei è partita stanotte, per la Francia. Non voglio averci a che fare mai più. Me l'aveva detto a cena, che partiva, prima che venissi drogato, - sbuffa una risata piangente, più simile a un singhiozzo sfuggito per sbaglio dal suo  forzato autocontrollo - e io non vedevo l'ora di tornare a casa a dirtelo -. Scorgo una lacrima sciogliersi sul suo viso magro.

- Marco mi ha tolto tutto. E io non posso vivere sapendoti a dieci minuti di distanza, senza di me -.

Esita, raccogliendo ancora un po' di forza per proseguire. Allunga una mano nella mia direzione. Istintivamente, scatto indietro per allontanarmi.

Il mio gesto ferisce come una lama tagliente sia lui, sia me.

- Rimani qui, ti prego. Non sopporterei saperti altrove, a faticare il doppio per sostenere un affitto. Ho chiamato il legale stamattina. Sarà tutto pronto per domani. Questo appartamento è tuo - afferma.

- Come pensi... - il mio respiro è così affannato che le mie parole escono a saltelli dalle mie labbra secche - come pensi possa fare. Vivere qui. Con il ricordo di te sempre presente. Come pensi che sia possibile, - prendo quasi coraggio mentre parlo, trascinata da questa valanga di dolore inarrestabile - che io viva qui senza di te?

- Vieni con me, allora. Ricominciamo insieme, da tutt'altra parte. Una nuova vita, da capo. Senza nemici. Senza droga, pistole, mafia. Ricominciamo, Elena -.

Scuoto la testa. Siamo abbandonati a terra come fossimo reduci di una battaglia.

- Non riesco nemmeno a guardarti senza sentirmi il cuore spezzarsi in milioni di schegge. L'unica cosa che voglio è correre il più lontano possibile da te. Il tuo tradimento è stato troppo grande - la mia voce si fa scura, rassegnata ed improvvisamente... calma.

- Mi hai fatto troppo male, Ryan -.

Facendo perno sulla mia valigia, mi rialzo. Da una parte, al contrario di tutto ciò che ho detto, i miei piedi sembrano non volersi muovere. Da una parte, forse un piccolo lato di me vorrebbe riuscire a combattere ancora; ma a volte, lasciare andare è l'unica cosa che ti rimane. A volte, lottare non ha né senso né significato. A volte, continuare sulla stessa strada può solo ricoprirti di spine. Semplicemente, a volte, l'amore non può essere abbastanza.

SOTTO LE PERSONE - In ProfonditàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora