Capitolo 7

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La mattina dopo la piccola festa di addio mi sento un po' scombussolata. Ho sentito il rumore delle rotelle sulla strada, all'alba. Sarà stata la valigia trascinata da Mas a fare tutto quel casino? Probabile.

Mi affaccio alla finestra, mentre Ryan prepara il caffè. La nostra Venezia è già partita in quarta, col suo chiarore brillante, le persone che zampettano per le strade e l'aria estiva a rincuorarci.

Per me, le otto rimane un orario troppo presto per svegliarsi, penso, ancora immersa in una della maglie di Ryan. Facciamo colazione a modo nostro, come sempre. Mischiando biscotti di ogni tipo, un po' di pane e marmellata, e aggiungendo acqua al caffè per allungarlo ancora un po'.

- Devo darmi una mossa - brontola Ryan, cambiandosi.

- Devo ancora abituarmi, a vederti vestito così - sorrido, osservando la camicia un po' larga, aperta sul suo petto scolpito, i pantaloni eleganti e la giacca appesa all'armadio.

- Non farlo. Voglio che mi ricordi mentre ero ancora me stesso - ironizza, il sorriso affascinante attorniato da una barba incolta.

- Esagerato - mi avvicino, aiutandolo a chiudersi i bottoni.

Mi lascia un bacio umido sulle labbra e si affretta a sistemare le ultime cose.

- Augurami buona fortuna, piccola.

- Non ne hai bisogno - ammetto, baciandolo ancora.

- Torna presto - dico poi, rimanendo appollaiata in cucina, e guardandolo sparire dietro la porta.

Approfitto della giornata che Ryan deve passare in giro tra uffici e cantieri, a guadagnare clienti e a concludere contratti, per portarmi avanti con lo studio.

Cazzo, quanto sono indietro, realizzo quando prendo in mano tutto il materiale da studiare. Mi metto le mani nei capelli e sprofondo il viso nei miei palmi.

Non ce la farò mai.

Grazie al cielo amo leggere, perciò mi rifugio velocemente tra le pagine e tra le parole della Gaskell col suo "Nord e Sud", per l'esame di letteratura inglese. Salto il pranzo, convinta di poter recuperare tutto nel giro di una giornata.

Illusa, ovviamente. Sono una povera illusa.

Ryan fa in tempo pure a tornare a casa, con le occhiaie visibili sul volto tirato, mai profonde quanto le mie.

- Da Bob? - chiedo dopo che si è fatto una doccia, vedendo che ha fame, ma che ancora non c'è nulla di pronto.

- Scusami, mi sono persa a studiare e non ho preparato nulla di buono - dico, sentendomi come in difetto per non aver adempito al mio lavoro da donna di casa.

- Non ti devi scusare, piccola. Non ti ho mai chiesto di farmi da mangiare - pare leggermi nel pensiero, quando mi risponde.

- Mh, e hai capito subito che non sono nemmeno il tipo, vero?

- Sei piena di libri di Virginia Woolf per qualcosa - mi fa l'occhiolino mentre si passa l'asciugamano sui capelli per asciugarli. Ci vestiamo in poco tempo, e usciamo.

Camminiamo mano nella mano per i vicoli veneziani, col tramonto che inizia a colorare il cielo di sfumature incantate. Ryan mi racconta della sua giornata di lavoro, io gli racconto del mio studio. Stiamo finalmente bene.

Appena entriamo da Bob, troviamo Carlotta seduta al solito tavolo, in fondo al locale. Parla animatamente con una ragazza dai capelli corti, mentre Alice corre tra un tavolo e l'altro per raccogliere le ordinazioni.

- Sapevi che era di turno? - mi chiede Ryan riferendosi a Pede, cercando una via di fuga per sedersi in disparte e passare una serata tranquilla.

- No, in realtà. A quanto sapevo io, aveva la mattina con me, domani - dico.

SOTTO LE PERSONE - In ProfonditàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora