Capitolo 43

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Sono passate due settimane dal mio colloquio di lavoro, per il tirocinio. Due settimane di avventure con Elia, con il mio gruppo di amici sempre più consolidato; due settimane di nottate tarde e visi distrutti al mattino, con la stanchezza nelle ossa quando è ora di andare a lavoro. Risate, abbracci, baci, storie da raccontare e battute da ricordare.

Altre due settimane senza Ryan, comunque. Senza una sua chiamata, o un suo messaggio. Non che dovesse chiamarmi o scrivermi... insomma, ormai abbiamo... chiuso. Quello che c'era da dire è stato detto.

Ora, però, mi ritrovo io con la palla in mano. Sono io, qui, di fronte al nuovo appartamento appena rinnovato, le chiavi tra le dita, Elia in attesa al mio fianco, e il cuore che batte forte. Non so se sto facendo la cosa giusta. Non so se accettare l'invito di Ryan a trasferirmi qui sia la cosa migliore da fare.

Ho altra scelta?, mi chiedo, passandomi le chiavi da una mano all'altra.

No, in realtà, non molta. Ho già valutato ogni opzione un milione di volte. Ormai non ne posso nemmeno più, di pensarci.

Vivere con Elia si è dimostrato sorprendentemente facile; ma non sarebbe sano passare da una convivenza all'altra in questo modo. Non posso permettermi di ritrovarmi ancora senza un posto dove stare, se le cose con Elia non dovessero andare bene. Non posso più dipendere da nessuno, ho bisogno di vivere da sola e guadagnarmi le mie cose da sola, come appena arrivata qui. Sarà anche stata dura, all'inizio, sopratutto per i soldi sempre troppo pochi; ma almeno ero completamente indipendente.

C'è da dire che ora mi ritrovo con un buon part-time in libreria, l'inizio del tirocinio agli sgoccioli e la rassicurazione di Arianna, la mamma di Elia, sul fatto che verrò ben pagata per le ore di tirocinio che farò. Cosa che non capita per niente tutti i giorni. Ormai chi è, che viene pagato per un tirocinio?

Mi mordicchio l'interno della guancia, oscillando il peso da un piede all'altro. Elia mi avvolge le spalle con un braccio, e il suo calore mi raggiunge fino allo stomaco.

- Sai che non c'è fretta, vero? Puoi restare a casa anche per sempre - scrolla un poco le spalle, sballottandomi un pochino sotto la sua ala protettiva.

- Lo sai che non devi chiamarla così, la mansarda - dico, con la testa altrove.

Sto pensando al solito nodo che non riesco a sbrogliare. Se voglio tanto sostentarmi, non dovrei trovare un posto mio? Il fatto che questo appartamento sia nell'edificio di Ryan, che mi agevoli con ogni singola spesa, che l'abbia rinnovato e sistemato apposta per me, non significa che mi sto ancora affidando a lui? Alla sua sicurezza economica?

D'altra parte, affidarmi alla sua agiatezza è quello che avevo fatto già quando vivevo in mansarda. L'affitto e tutte le spese erano troppe, faticavo ad arrivare a fine mese. Andare a vivere insieme è stata la soluzione migliore per me, consentendomi finalmente di respirare a livello economico. Senza contare che allora dormivo già da lui praticamente ogni notte. Tornavo in mansarda solo per cambiarmi, a volte per mangiare se i nostri orari non combaciavano e non potevamo stare insieme.

- Come dovrei chiamarla?, - la voce di Elia mi risveglia dai miei pensieri - è indubbiamente casa, ti sfido a negarlo.

- Non può essere casa nostra, lo sai. È casa per te, non per me - sancisco, volenterosa di mantenere i confini ben delineati.

- Bugiarda. È l'unico posto in cui tu ti sia mai sentita a casa - si fa più sicuro Elia.

Assottiglio gli occhi, guardandolo con finto fare di sfida.

Dannazione se ha ragione.

- Non è vero - dico, però.

- Mh, certamente, angelo - Elia mi lascia un bacio umido sulla fronte, prendendomi le chiavi di mano.

SOTTO LE PERSONE - In ProfonditàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora