1. CIO' DI CUI TI PRIVERAI NON TI SARA' RESTITUITO

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Avviso!
Questa storia NON È YAOI NÉ SHONEN AI. Il rapporto fra i personaggi è puramente AFFETTIVO.
Questa fanfiction è il mio personale finale per questo anime, un finale che cerca di dare una parvenza di dolcezza ad una storia cattiva.

-Sebastian! Sebastian!-
Mentre era in corridoio, il maggiordomo di casa Phantomhive udì immediatamente il suo nome che veniva pronunciato dalla squillante voce di Finnian, il giovane giardiniere.
Sgranò gli occhi, sorpreso.
Non era tanto il fatto di essere stato chiamato a sorprenderlo, quanto il tono di quella voce. Non era il tipico tono preoccupato, carico del sottinteso aiutami, Sebastian, ho combinato un disastro, vieni a risolverlo!, come del resto avveniva di solito. No. Era il tono di chi è entusiasta di una scoperta ed ha voglia di condividerla.
Condivisione. Che strana parola. Il suo significato era chiaro a Sebastian. Ma gli era chiaro come se si trattasse di una parola del vocabolario, solo... teoricamente. Praticamente, non la comprendeva. Doveva essere un sentimento positivo, ma l'uomo era davvero capace di sentimenti positivi? La cosa quasi lo sorprendeva, avendo conosciuto soltanto gli aspetti peggiori della natura umana.
In quel momento si vide arrivare dinanzi Finnian, trafelato. Aveva un gran sorriso e gli occhi sgranati. Ma Sebastian non notò la bellezza di quel sorriso o di quegli occhi felici, bensì furono le microscopiche goccioline di sudore che gli imperlavano le tempie ad attirare la sua attenzione. Lui, il maggiordomo demone, non sudava. Storse le labbra, con disappunto. Che creature disgustose, gli umani.
-Cosa è successo, Finnian? - domandò freddo.
L'entusiasmo del giovane non si smorzò dinanzi all'indifferenza del suo interlocutore.
-Qualcosa di meraviglioso, signor Sebastian. Dovete assolutamente venire a vedere...-
Condivisione. Dunque, si trattava davvero di questo. Che stupidaggine.
-Non ho tempo da perdere, Finnian. Ho molto lavoro da fare - lo liquidò, facendo per andarsene, ma il ragazzo lo fermò, afferrandolo per un braccio.
-Vi prego Signor Sebastian, solo un istante, per favore! Vi disturbo sempre per i disastri che combino, lasciate che per una volta vi mostri una cosa bella!-
Una cosa bella. A Sebastian venne da ridere. Il mondo poteva davvero contenerne?
Comunque, Finnian non lo avrebbe lasciato in pace finché non avesse accettato, lo sapeva. Era infantile, in fondo non era che un bambino, proprio come il padroncino.
Pensando a lui, una strana espressione comparve sul suo viso.
Del resto, pensò, Finnian era poco più grande di Ciel. E aveva visto tanto orrore nella sua vita, proprio come lui. Ma, al contrario del suo cinico padrone, non aveva perso il coraggio di credere nella bellezza.
-Va bene, fammi vedere.-
Finnian sorrise di nuovo. Sorrideva sempre, e a volte Sebastian, ripensando al passato del ragazzo biondo, si chiedeva davvero come ne fosse capace.
-Non ve ne pentirete, signor Sebastian - assicurò il giardiniere, contento.
Ma tu potresti pentirti di continuare a chiamarmi in questo ridicolo modo, come se fossi vecchio. Il raccapricciante decadimento umano non mi appartiene, pensò Sebastian con orgoglio, mentre Finnian lo prendeva per mano e lo trascinava in giardino.
La prima cosa che colpì Sebastian, quando uscì fuori in giardino, fu la luce. Intensa, alcuni giorni quasi accecante. Lo sorprendeva tutte le volte. Contrastava così tanto con la tenebra dei cuori degli uomini! La luce per Sebastian, per un demone, non era altro che la promessa illusoria di una falsa speranza. Come se davvero gli uomini potessero salvarsi. Gli sembrava assurdo, dopo tutto ciò che aveva visto.
-Ecco. Guardate qui, signor Sebastian.-
Il maggiordomo seguì la direzione del dito di Finnian e abbassò lo sguardo verso il prato.
C'era un fiore. Ma non poteva essere un fiore normale. Irradiava un bagliore bianco e lattiginoso, puro. Sebastian, spinto da un impulso che non si riusciva a spiegare, si sentiva attratto da quel fiore, quasi nello stesso modo misterioso in cui lo era nei confronti dei felini.
Senza parlare, come incantato, si inginocchiò e allungò le dita sottili per toccarlo. Nell' istante in cui lo sfiorò, un dolore acuto e lancinante si impossessò della sua mano, nonostante fosse coperta dal guanto. Per poco non perse il suo autocontrollo, lanciando un urlo di dolore che il padroncino non avrebbe apprezzato.
Si allontanò di scatto, tenendosi la mano dolorante. Era stato ferito. Lui, un demone, era stato ferito!
-Finnian, come hai fatto a far nascere un simile fiore?- ringhiò, il bel viso sfigurato dalla rabbia. Del resto era un demone. La sua bellezza non era che una mera maschera.
-Non ne ho idea, signor Sebastian... è cresciuto da solo, come i fiori selvatici - balbettò il ragazzo, allargando le braccia.
-Beh, sradicalo! - sbottò il maggiordomo nero ritornando verso la magione a grandi passi. Sembrava furente.
Finnian rimase solo e sorrise.
-Ci sono fiori che, una volta nati, non possono essere sradicati, signor Sebastian - sussurrò. Ma il maggiordomo ormai era troppo lontano, e non poteva sentirlo.
***
-Sebastian! Arriva o no il mio spuntino? Sono affamato! - strillò Ciel, con un urlo acuto che risuonò in tutta la magione.
Sebastian si precipitò con il carrello, le ruote che sferragliavano malamente sul pavimento del corridoio lasciando strisce che gli sarebbe toccato pulire. E pensare che aveva lucidato il pavimento proprio il giorno prima!
Entrò nello studio del padroncino spalancando le porte con violenza.
-Eccomi- disse.
-Sei in ritardo- gli fece notare Ciel, irritato, tamburellando nervosamente le dita sulla scrivania.
-Non è possibile, mio signore - disse Sebastian, traendo l'orologio dal taschino. -E infatti...- cominciò. Ma si pietrificò, rendendosi conto che Ciel aveva ragione. -Un minuto e mezzo di ritardo - sussurrò scioccato. Non era mai accaduto, prima.
Ciel intrecciò le dita delle mani. -Uhm... Ma bene -disse- Cosa stavi facendo?-
-Non è mio dovere informarvi delle mie faccende private, signore - rispose il demone.
-Potrei ordinarti di rispondermi, Sebastian. - lo provocò Ciel.
-Vi interessa davvero saperlo?-
Il conte sbuffò. -No, in realtà no. Ma il nostro contatto prevede che i miei bisogni siano la tua priorità. Voglio che lo ricordi, Sebastian. Fra pochi giorni avrai la mia anima, vedi di meritarla!-
La sua voce era carica di disprezzo.
-Sì, mio signore - disse il maggiordomo, inginocchiandosi umilmente, prima di depositare un piattino sulla scrivania del ragazzo. -Crostata di fragole, come avete desiderato questa mattina.-
Ciel esaminò il piatto. -Va bene. Ora lasciami solo. Vedere il tuo viso mi infastidisce.-
Sebastian annuì, e portandosi dietro il carrello uscì rapido dalla stanza, non prima di avergli lanciato un'ultima occhiata di sbieco.
Il conte rimase solo, ed ebbe l'impressione che le pareti della sua stanza fossero diventate all' improvviso opprimenti, come se cercassero di restringersi su di lui ed inghiottirlo.
Guardò il dolce sulla sua scrivania e gli parve quanto di più insignificante avesse mai visto.
Ho barattato la mia anima per questo, pensò, torcendosi le mani.
No, non per questo. Per la vendetta. Ma non riusciva più a trovare il suo contratto così vantaggioso. Chiuse gli occhi. La fine era vicina. Il cuore gli batteva forte. Ormai aveva avuto la sua vendetta.
Sebastian avrebbe potuto mettere la parola fine alla vita di Ciel in quel momento, subito dopo aver ucciso gli assassini dei suoi genitori, ma aveva preferito dargli un'ultima settimana. Solo una settimana. Sette giorni prima di prendere la sua anima. Prima di ucciderlo.
E Ciel... aveva paura.
Quei sette giorni avevano reso tutto più difficile. Probabilmente, per Sebastian era un gioco divertente. Bastardo.
Eppure, si era affezionato a quella creatura abominevole. Non aveva potuto fare a meno di voler bene a quel demone dal bell'aspetto di un giovane uomo, che per lungo tempo lo aveva accudito con la massima cura ed era rimasto sempre al suo fianco, sempre. Avrebbe avuto davvero il coraggio, dopo aver convissuto con lui, di ucciderlo? Veder crescere giorno dopo giorno la sua preda non lo aveva mosso a pietà, ma aveva solamente stuzzicato il suo appetito?
Ma che ti aspettavi, conte Phantomhive?, si disse. Sebastian era un demone. E non conosceva sentimenti come la bontà, o la pietà. I suoi gesti potevano anche essere di una delicatezza perfetta, ma erano privi della minima dolcezza. Ciò che il demone fingeva di provare non era altro che una grottesca imitazione dei sentimenti umani.
Ciel si maledisse. Si sentì stupido. A quel punto, anche maledirsi non aveva senso. Ormai era troppo tardi per qualunque cosa.
Chiuse gli occhi.
Fra tre giorni brucerò fra le fiamme infernali. E sarà Sebastian, una persona a cui mio malgrado voglio bene, a regalarmi il vile bacio della morte, pensò. Provò a dirlo ad alta voce, ma il suono di quella frase gli morì in gola.
Si passò una mano sul viso. Era sudato.
La fine, quella fine che per anni aveva visto come un fantasma lontano, ora incombeva sulla sua esile figura come una minaccia pesante, concreta, reale.
Rassegnati, pensò. Lo sapevi fin dall'inizio, Sebastian lo aveva detto: ciò di cui ti priverai non ti sarà mai più restituito. Mai, mai più.  

UNA VOLTA I DEMONI ERANO ANGELIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora