10. TRE PAROLE SUSSURRATE

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Sebastian aprì gli occhi nell'istante in cui udì il grido di Ciel. Entrò nella sua stanza. La finestra era aperta.

No. No. Che cosa aveva fatto?

Si affacciò dal balcone, temendo il peggio.

E infatti era lì. Il suo corpo. Il suo fragile corpo da bambino, il bambino che aveva sempre negato di essere, era a terra. Scomposto come una bambola disarticolata.

Sebastian sentì le lacrime salirgli agli occhi, e si sentì tremare le mani.
Qualcosa, dentro di lui, stava cadendo a pezzi. Corse fuori dalla camera, nel corridoio, giù per le scale, uscì come un disperato fuori dalla magione. Lo raggiunse, prendendolo fra le braccia. Non si muoveva. Non respirava. Era completamente immobile, anche se esternamente non si vedevano segni di ferite. Di imperfezioni. Era bellissimo come sempre. Doveva essere rotto dentro, dedusse. Se lo strinse al petto, piangendo. Lo strinse forte, come se fosse ancora vivo, come se potesse percepire ancora il suo calore, come se potesse trarre conforto dalla sua presenza. Ma il piccolo corpo, invece di scaldarsi, diventava sempre più freddo. Sebastian non sapeva cosa fare. Desiderò morire, strapparsi il cuore con le sue stesse mani. Le lacrime erano talmente intense e brucianti da scavargli profondi solchi nella pelle già fragile.

Accarezzò lentamente i capelli e la schiena del ragazzo.

-Perché? Ciel, perché? Avevo fatto di tutto solo per farti vivere, ti ho restituito gli occhi, ho annullato il contratto, e tutto questo per la tua felicità! Perché hai fatto quel salto, perché? -

Sebastian non aveva mai pianto in un modo simile. Per la prima volta, si rendeva conto di cosa fosse la disperazione. Lanciò un urlo disumano, quel genere di grido emesso da una madre nel perdere un figlio.

Lo cullò fra le braccia, come se fosse vivo, come se non fosse morto. Si sentiva pazzo.

-Sebastian... - lo chiamò una voce, alle sue spalle. Per nessuno si sarebbe voltato, se non per una sola persona. Siccome quella persona era fra le sue braccia, non voleva voltarsi. Si voltò solamente perché si rese conto che quella... era la sua voce! La sua voce!

Sempre stringendo il corpo freddo a sé, si voltò.

-Ciel...- esclamò, osservando la sagoma evanescente che gli stava dinanzi. Il vento della sera non muoveva la sua vestaglia da notte, né i suoi capelli. Era immobile.

-Sebastian. - ripeté, stringendosi le braccia al petto. Guardò il proprio corpo, fra le braccia del maggiordomo. Più che mai desiderò di essere vivo, per percepire il suo calore, in quell'abbraccio.

Invece, tutto ciò che percepiva era un'oscura sensazione di freddo dentro.

-Ciel, perché lo hai fatto? Io ho fatto tutto quel che potevo per farti vivere... e tu... tu ti sei... -

Scosse la testa. Non riusciva a dirlo.

-No. Ti sbagli, Sebastian. Io... ci stavo pensando... e poi... sono scivolato. Non è stato intenzionale. Probabilmente, non avrei avuto il coraggio di farlo. Non ancora. Non sapendo che potevo trascorrere ancora qualche giorno al tuo fianco, e trovare un modo per farti restare, ora che... So che mi vuoi bene. -

Sebastian accarezzò ancora il suo viso. Poi lo mise lungo disteso, sull'erba.

-La morte non ha sottratto nulla alla tua bellezza. Neppure lei ha avuto il coraggio di rovinarti. Sembri solo... addormentato. - commentò.

Ciel guardò con dolcezza le cure riservate al suo corpo. Non si perse neanche una delle delicate carezze delle mani di Sebastian, e rimpianse tanto la vita, perché voleva sentirle, più di ogni altra cosa.

UNA VOLTA I DEMONI ERANO ANGELIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora