La donna lo invitò a sedersi e l'uomo accolse la sua richiesta. Si ricordò di chiedere giudizio alla stella poco prima di piegare le ginocchia, che se ne rallegrò e acconsentì con il sorriso tipico di chi sa di non poter far nulla per cambiare il destino.
Il destino, sussurrò.
La donna si allontanò, tornò con un cubo marrone scuro. Era caldo, morbido e profumava di buono. Da quando era arrivato lì tutto sembrava avere un buon odore. Se ne rallegrò. Fumava di sapori. Un rumore in basso, verso lo stomaco, sopperì il senso di colpa. La stella gli spiegò che fosse fame e che il suo corpo stesse reagendo a quella che venne definita carne. Le chiese se potesse mangiarla, la stella acconsentì, l'uomo addentò la carne e si bagnò dei suoi succhi. Il cuore aumentò la frequenza del battito, la donna sorrise, continuò a mangiare. Delizioso.
La donna ora era ancora più bella. La stella richiamò la sua attenzione volteggiando nel cielo e svelò all'uomo che quella fosse la carne del cerbiatto ormai deceduto. L'uomo rimase sospeso tra il senso di colpa e il piacere. Il secondo ebbe il sopravvento dopo una dura lotta, una di quelle da qui si esce infermi e mutilati.
«Era buona», disse. Pensò anche che l'uccisione dell'animale avesse un senso, dopotutto; ma abbassò lo sguardo e tenne per sé quel ragionamento. Ripensò alla scena del filo che decapitava la bestiola. Il senso di colpa si alzò con un colpo di reni, rispondendo al fendente del piacere.
Male al petto. Insopportabile.
La stella gli disse di non dimenticare mai quella sensazione e di tornare a guardare la donna.
Obbedì.
Era davvero bella. Sembrava un fiume nel deserto che spiccava rispetto alla desolazione che lo circondava. Diede un'occhiata al fuoco e pensò a come sarebbe stato il mondo se ne avesse creati altri. Pensò a come sarebbe stato il mondo se l'avesse riempito di fuochi. Pensò come un uomo.
In fondo lo era.
Un fruscio alle sue spalle, poi il silenzio. Si voltò appena in tempo per vedere, a distanza di sicurezza, le piccole luci bianche condensarsi e formare una scritta.
«Fuoco è desiderio. Desiderio è tentazione. Tentazione è peccato», lesse. La stello lo intimò di ricordarsene sempre. Annuì senza troppa convinzione, ma aveva capito. Era pronto a giurarlo di fronte alla stella, alla luna. O davanti a quelle fantomatiche divinità che non sapeva cosa fossero o se esistessero. Allontanò i dubbi, ora voleva solo occuparsi del fuoco e guardare ancora la donna.
Questa allungò una mano e sorrise, scoprendo i denti bianchi come perle. Erano più lucenti della luna, ci si perse dentro. Afferrò la sua mano e la seguì. La donna lo trascinò con sé per qualche secondo, fino a quando non raggiunsero quello che la stella definì letto di paglia. Lo fece stendere.
Guardò il cielo scuro e si rese conto che la sua guida, così come la luna, apparivano sbiadite di fronte alla luce del fuoco. Sembravano schiacciate. Sentì una strana sensazione dalle parti dell'inguine. Strana, ma bella. La donna gli si posizionò sopra a cavalcioni, lasciando che i capelli miele gli baciassero le guance. Il profumo di mandorla lo conquistò del tutto. Sentì i seni della donna scivolargli sopra il petto e quelli che erano stati definiti capezzoli comporre un disegno astratto. Riuscirono a dissolvere il senso di colpa. La donna sorrise, la stella non disse nulla. L'uomo si lasciò assorbire dall'esperienza estatica.
Passò un giorno, forse due. Forse passò una settimana. D'altronde non sapeva cosa fosse un giorno, benché meno una settimana. L'uomo e la donna continuavano a rimanere uniti come fossero un corpo solo. La stella pensò fosse giunto il momento. Roteò nel cielo, vibrò e richiamò il suo assistito all'attenzione. Gli disse che era giunto il momento di alzarsi e ringraziare la stella, la luna, le divinità.
Obbedì.
Lo fece dopo parecchie riserve e diverso tempo. Staccò la donna e si liberò dalla stretta delle sue gambe. Le guardò i denti bianchi, poi i seni, le cosce. Non desiderava altro che stare con lei. Si alzò e raggiunse il fuoco, dove ringraziò chi di dovere. La stella lo invitò a non dimenticarsi tutto quello che aveva visto. L'uomo annuì senza convinzione. Guardò il fuoco, ne volle di più, sorrise. Desiderava di più.
La donna lo raggiunse e gli sfiorò la schiena con le dita morbide. Un brivido. Gli sussurrò qualcosa nell'orecchio e indicò una coppia di piccoli cerbiatti che erano comparsi dal lato opposto, nascosti dalle sfere di luce e protetti dagli alberi. Il senso di colpa non riuscì a far breccia nel muro del desiderio. Non ci pensò due volte. Prese una roccia intorno alla fiamma, si avvicinò ai cerbiatti, ne colpì uno in testa. Questo cadde come un corpo morto. In effetti lo era.
Guardò il sasso sporco di sangue, poi il corpo del cerbiatto e il fratello in fuga. Boccheggiò. La donna lo strinse a sé, tranquillizzandolo. L'uomo chiese alla stella perché avesse fatto quella cosa, perché il piccolo animale non si muovesse più e per quale motivo sapesse cosa fare in quella situazione. La stella glielo spiegò a malincuore, concludendo in un'invettiva contro l'uomo.
«Sapevo cosa fare perché è nella mia natura, sapevo come uccidere perché sono un uomo, dici?» ripete. «Capisco, ho ucciso perché sono un uomo. Capisco.»
Si chinò, raccolse il corpo ormai freddo e lo porse alla donna. Il senso di colpa era tornato alla carica e lo stava martoriando. Ma fu una scintilla che non portò a nulla: il sorriso della donna di fronte al dono lo rese leggero come una piuma di gabbiano spinta dalla brezza marina. Sorrise a sua volta.
Passò un giorno, forse due. Forse passò una settimana. D'altronde non sapeva cosa fosse un giorno, benché meno una settimana. La stella lo invitò a staccarsi dalla donna, a cui si era ricongiunto dopo aver consumato il cerbiatto. Si era intristito, ma il calore della donna – più forte di quello del fuoco – lo aveva convinto di una cosa. Per vedere il suo sorriso avrebbe fatto di tutto, anche lasciarsi divorare dall'insopportabile senso di colpa.
Con lei, tutto sarebbe diventato sopportabile.
Si era stretto a lei e si era stupito di quanto fosse bello. Si dimenticò del senso di colpa. Ascoltò i rimproveri della stella e risentì per l'ennesima volta l'imperativo di alzarsi.
Obbedì.
A malincuore, ovviamente.
Guardò la donna. Bellissima come prima, più di prima. Raggiunse il fuoco e si lasciò distrarre. Non aveva voglia di ringraziare nessuno. La stella alzò la voce e si lasciò andare in un urlo disperato. L'uomo continuò a guardare il fuoco, ne desiderò sempre di più. La donna lo raggiunse. Lui la guardò, lei annuì e allargò le braccia, come per accoglierlo e accettarlo.
La stella infuriò, si mosse, urlò di nuovo, pianse. L'uomo la odiava, era un ostacolo tra lui e la donna. Doveva sparire. Cominciò a raccogliere le pietre che trovava in giro e dispose una serie di cerchi. Le sfere di energia vorticarono, aumentando il brusio delle voci. La stella lo pregò di fermarsi.
Raccolse i bastoncini secchi intorno agli alberi e li dispose in ordine al centro delle varie costruzioni, seguendo le istruzioni della donna sotto il suo sguardo vigile. La stella lo pregò di fermarsi, in lacrime.
La luna si spense, ma l'uomo non se ne accorse.
Diede fuoco a un filo legnoso e sia avvicinò a uno dei falò ancora spenti. Guardò la stella, che continuava a piangere senza versare una lacrima. Brillava di una luce triste e flebile. L'uomo la ringraziò per un'ultima volta.
«È tutto merito tuo se ora sono felice. Che poi, cosa significa felice?»
La stella non rispose, ma a lui non importava.
Era felice.
Aveva avuto male al petto. Aveva avuto freddo. Era stato solo.
Ora era tutto sopportabile.
La donna lo spinse ad accendere il fuoco. La stella, per l'ultima volta, gli ordinò di fermarsi. Gli disse che sarebbe sparita per sempre e che lui si sarebbe dimenticato di tutto. Gli intimò di non farlo.
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La bellezza del peccato
Short StoryAntropo non desidera altro che far vivere i propri figli prediletti, gli uomini condannati all'estinzione. Non vuole altro, perché nonostante vivano nel peccato li ama. In fondo, è loro padre. Un giorno, Antropo viene convocato dalla Madre, la divi...