RELEASE

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Riza era tremendamente nervosa. La giornata sino ad allora non era andata così male; certo nulla era stato facile quel giorno e sentiva il peso di quella situazione assurda gravarle sulle spalle in ogni momento. Aveva rinunciato alla pausa pranzo pur di non incontrare il suo superiore, consapevole però che non avrebbe potuto evitarlo ancora per molto, già mandare Havoc a prendere i documenti della mattinata era stato troppo. Quando si era ritrovata sola nella stanza non era riuscita a trattenere le lacrime. Tutti si erano accorti che era successo qualcosa tra lei e Mustang e l'atmosfera si era fatta pesante. Era inutile: per quanto provasse a stargli lontano fisicamente lui era sempre lì, accanto a lei. Dopotutto quello era il suo ufficio ed era sbagliato, anormale, che il primo ufficiale evitasse ogni contatto con il comandante. Quello che stava facendo cozzava con ciò che il suo istinto da perfetta lavoratrice le suggeriva.
Poi era arrivato lui, senza nessun preavviso era entrato nella stanza avvicinandosi a lei con apparente titubanza, ma chissà, poteva anche essere solo l'ennesima messa in scena. Si era istintivamente ritratta e lui se ne era andato subito, come ferito, lasciandole solo un panino che lei certo non aveva chiesto. L'aveva fissato per un po', il suo stomaco iniziava a recriminare cibo. L'aveva poi preso tra le mani e con impeto l'aveva gettato nell'immondizia. Non aveva nessuna intenzione di accettare le premure di quell'uomo. Mai.
Quando, intuito che ormai Mustang dovesse essere rientrato nella sua stanza, era finalmente giunta alla decisione d'andare in mensa a comprare qualcosa da mangiare, i ragazzi tornarono dalla loro pausa. La trovarono in piedi, accanto al suo scrittoio, quasi incredula. Decise che ormai era tempo di tornare al lavoro e di dimenticare per quel giorno il pranzo.
Più tardi Breda notò il panino nella spazzatura ed Hawkeye se ne accorse con la coda dell'occhio. L'espressione che si dipinse sul volto del ghiotto sottotenente fu inequivocabile, eppure non disse nulla in proposito, come invece si sarebbe aspettata accadesse. Ormai l'aura tetra che la circondava aveva contagiato proprio tutti. Amava quell'ufficio anche per l'aria di spensieratezza che si respirava nonostante le mille pratiche da completare, e ora aveva distrutto anche quella.

Il pomeriggio avanzava e lei fissava sempre più di frequente la pila di documenti che dovevano essere portati al suo superiore, e mentalmente poteva anche vedere quelli già pronti che si accumulavano sulla scrivania dell'ufficio accanto. Non voleva vederlo, voleva stare lontana da lui il più possibile eppure il soldato che era in lei le imponeva di prendere quei fogli ed assolvere ai suoi doveri andando a controllare il lavoro del Colonnello. Stava già allungando una mano sui fogli pronti per essere vidimati quando sentì distintamente il telefono nell'altra stanza suonare. Squillò per un po' prima che Mustang rispondesse. Sospirò rilassata, aveva fortunosamente guadagnato qualche altro minuto. Notò appena lo sguardo tra il sorpreso e il triste che Havoc le scoccò in quell'istante. Non passò molto prima che anche in quella stanza, stranamente avvolta in un silenzio opprimente, s'avvertisse il tonfò della cornetta sbattuta. Riza s'alzò di scatto, pronta ad affrontare quella battaglia interiore con convinzione. Prese velocemente tutti i fogli e si diresse alla porta tra gli sguardi attoniti dei colleghi.
Si fermò solo di fronte alla soglia dell'ufficio dell'alchimista. Respirò profondamente per calmarsi, sentiva dentro di sé un tumulto, la parte di lei che l'aveva convinta a svolgere i suoi compiti di ufficiale di più alto grado stava ancora lottando furiosamente con la sua voglia di fuggire via lontano e al sicuro dall'uomo che fino a qualche giorno prima stimava e che ora temeva.
Chissà che reazione avrebbe avuto nel vederla entrare. Lasciò da parte questi pensieri e si concentrò solo su se stessa. Doveva solo prendere degli stupidi fogli, presi quelli se ne sarebbe potuta andare, era questione di un attimo, si disse per farsi coraggio. Raddrizzò le spalle e bussò. Quasi subito la voce dell'uomo la invitò ad entrare. Un altro respiro e afferrò la maniglia.
Lo trovò che si teneva la testa tra le mani appoggiato alla scrivania. Dentro di sé sentì nascere la voglia di sapere come stava, ma subito fu messa a tacere. Salutò e finse di non aver notato nulla di strano. S'allungò per poggiare i fogli, non fu un movimento naturale, ma il suo corpo non riusciva ad avanzare più di così verso quell'uomo. A quel punto fu come se Mustang si fosse riscosso di colpo.
-Tenente, mi volevo scusare per prima, sono stato eccessivamente brusco.-
Rispose meccanicamente: -Non è nulla.-
Voleva evitare ogni interazione, anche solo verbale. Solo dopo s'accorse che quel "per prima" si riferiva agli avvenimenti della pausa pranzo.
-E invece sono stato sgarbato, e le scuse erano doverose.- continuò lui, con un tono particolare, quasi dolce. Ma s'impose di non pensarci e concentrarsi invece sul lavoro e su quelle carte che lei doveva ritirare ma che si trovavano troppo vicine al suo superiore. Inconsapevolmente le fissò intensamente, mentre cercava il coraggio per fare quei pochi passi in più. E lui capì. Perché capiva maledettamente sempre quello che pensava solo con uno sguardo? Soppresse l'irritazione e con un guizzo agguantò le carte che le venivano offerte. Si mise a controllare il lavoro, pur di non dover vedere il sorriso malinconico che Roy, forse inconsciamente, mostrava. Lui la stava guardando, sentiva il peso di quello sguardo su di sé.
-Tenente, penso dovremmo parlare di ciò che è successo...- iniziò a dire, ma lei tagliò corto con un "no" secco. Parlarne e perché mai? Parlare di cosa poi? Di come aveva approfittato di lei, di come si era fatta raggirare per tutte quelle settimane?
Ma quella risposta così chiara non bastò.
-Ma Tenente, io volevo solo scusarmi...- Era veramente insistente e quello sguardo poi, così sincero, era insopportabile.
-Mi scusi, Colonnello, ma devo tornare al lavoro. Mi lasci pure il lavoro finito sulla scrivania prima di uscire.- Disse con tutta la fermezza che aveva in corpo in quel momento. Poi si voltò e si rilassò vedendo la porta che l'attendeva e nessun rumore provenire da dietro di sé.
Rientrò nella stanza che condivideva con gli altri e si sedette soddisfatta, quasi sorridente. Le bastò un occhiata per tornare a rabbuiarsi. Tutti avevano uno sguardo cupo e contrariato.
-Tenente, se vuole dopo può andare uno di noi...- disse Breda con un'aria di finta tranquillità.
L'unica cosa che riuscì a fare fu guardarlo stranita. Era evidente ormai che avevano intuito che anche solo vedere Mustang la metteva in agitazione, se avessero capito anche il motivo non poteva saperlo. Però in quel momento ciò che lesse negli occhi dei suoi colleghi fu non solo commiserazione per il suo stato, ma anche comprensione per l'altro uomo. Ne era sicura, tutti loro si sentivano più vicini a lui che a lei. Perché? La famosa solidarietà maschile? Rimase per un attimo disorientata, fino a che Falman non la riportò alla realtà.
-Tenente? Tutto bene?- domandò.
-Sì, non si preoccupi Maresciallo. Tutto apposto. E non si preoccupi sottotenente Breda, andrò io a fine giornata a prendere il lavoro svolto.- Gli occhi di tutti restarono fissi su di lei, dubbiosi e preoccupati, mentre Hawkeye invece stava già vagliando i fogli che aveva portato con sé, senza badare troppo a chi aveva attorno. Non era quello il momento per perdersi in inutili crucci.
Lavorò con impegno sino alla fine dell'orario lavorativo, scacciando di tanto in tanto i foschi pensieri che le si affacciavano alla mente. Proprio mentre prendeva un nuovo foglio su cui appuntare lo schema di lavoro per il giorno successivo un tuono rimbombò oltre i vetri e un violento scroscio di pioggia diede inizio ad un forte temporale estivo. Si girò di soprassalto, quasi spaventata da quel rumore. Si era talmente concentrata sulle carte e sui suoi problemi che non aveva nemmeno notato il fortunale che s'addensava sui cieli di East City.
Si morse un labbro quando si rese conto d'essersi fatta prendere alla sprovvista in un modo così stupido, stava veramente perdendo la testa e il sangue freddo. Finì il suo ultimo compito con frustrazione, ed evitò accuratamente di guardare i suoi colleghi, i quali sicuramente la stavano fissando con curiosità e stupore, forse anche ridendo sotto i baffi per quel sobbalzo spaventato provocato da un banalissimo tuono.
Quando ebbe sistemato per bene la sua scrivania, come solito, guardò l'orologio. Mancavano ancora due minuti alla fine. Breda era già andato a consegnare il lavoro di quella giornata, l'unica che ancora aveva qualcosa da fare era lei. Doveva solo alzarsi, andare nell'ufficio del Colonnello e prendere i documenti che doveva aver vidimato e controllato nel tardo pomeriggio. E mentre fissava la lancetta dei secondi che inesorabile compiva il suo giro, dovette trovare ancora dell'altro coraggio per riuscire a compiere quell'ultimo atto.

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