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Dopo l'episodio di quella mattina sul tetto, Ryan tirò quasi un sospiro di sollievo quando lasciò il suo appartamento, nel pomeriggio, per recarsi all'appuntamento con il suo psicologo.

In strada venne accolto da un sole cocente e abbacinante; socchiuse gli occhi e frugò dentro la propria borsa in cerca degli occhiali da sole, mentre un taxi accostava al marciapiede dopo essere stato richiamato dal giovane. Una volta tirata fuori la custodia, l'aprì e sollevò il capo; fece per indossare gli occhiali, ma rimase pietrificato sul posto, mentre il sole gli feriva gli occhi, distorcendo la sua percezione delle cose.

Percepì un brivido di puro terrore corrergli lungo la schiena. Fissò ancora per un paio di secondi l'uomo che si trovava sull'altro lato della strada, di fronte a lui. Batté le palpebre e indossò gli occhiali da sole, tornado a guardare nello stesso punto. Tirò un sospiro di sollievo nel rendersi conto che, dall'altra parte, non c'era nessuno intento a fissarlo. Doveva avere avuto un'allucinazione.

Salì sul taxi, sentendosi ancora un po' scosso. Fornì l'indirizzo dello psicologo all'autista e si mise comodo, tentando di rilassarsi. Dopo tutto quello che era successo negli ultimi giorni, aveva preferito evitare di mettersi alla guida della propria auto, spaventato dall'eventualità di poter essere sorpreso da un attacco di panico in mezzo al traffico.

Dopo una decina di minuti si sentì di nuovo abbastanza tranquillo, desideroso di arrivare al suo appuntamento, consapevole di avere estremamente bisogno di sfogarsi un po'. "Stavolta ce la farai a tirare fuori tutto quello che ti lacera dentro?" si chiese e poggiò la fronte contro il finestrino, mentre il caldo che proveniva dall'esterno dell'abitacolo sembrava distruggere i tentativi dell'aria condizionata di raffreddare la temperatura all'interno del veicolo.

Un rumore catturò la sua attenzione e sussultò sul posto.

-Tutto bene, signore?- domandò l'autista e la sua voce fece venire i brividi al giovane, che cercò con gli occhi il riflesso del suo viso nello specchietto retrovisore. Lo vide sorridere con fare impacciato e Ryan annuì per rassicurarlo, ma poi il cuore parve balzargli in gola: aveva appena battuto le palpebre e il volto dell'uomo era già cambiato.

Ryan riconobbe la sensazione spiacevole del panico che gli irrigidiva i muscoli, rendendo i suoi respiri più corti e tremuli.

-Max?- sussurrò con un filo di voce.
-Come?- chiese il tassista e il giovane si azzardò a guardare di nuovo lo specchietto retrovisore: l'uomo alla guida era tornato a essere un perfetto sconosciuto.
-Nulla, mi scusi- disse Ryan e si rannicchiò in un angolo del sedile, tentando di calmarsi. Il cuore gli batteva ancora all'impazzata e più volte rivolse sguardi furtivi in direzione dell'autista, tirando un sospiro di sollievo tutte le volte che lo riscopriva totalmente estraneo.

"Ci mancavano le allucinazioni" si disse, prendendosi la testa tra le mani, "Guarda il lato positivo: non è lui, quindi, anche l'uomo che hai visto davanti casa non era lui" tentò di rassicurarsi.

Arrivarono a destinazione una ventina di minuti dopo e Ryan si sentiva spossato - non per il caldo - e così confuso che perse un po' di tempo facendo avanti e indietro sulla testa porzione di marciapiede, girando su se stesso finché non si decise di prendere un caffè, nella speranza di "svegliarsi" un po'.

"Magari è colpa dei farmaci. Anche se lo psicologo dice che sono solo integratori, è possibile che mi procurino allucinazioni? Ricordati di chiederglielo" si disse, mentre era intento a sorseggiare del caffè.

Fuori dal locale in cui aveva acquistato la bevanda, tentò di auto-convincendosi che il caffè avesse avuto poteri magici, in grado di liberargli la mente da tutti i pensieri più angosciosi. Entrò nello stabile in cui si trovava lo studio del medico e si fermò davanti le porte dell'ascensore, in attesa di salire al quindicesimo piano e presentarsi al suo appuntamento.

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