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La porta si aprì verso l'interno, accompagnandosi a un cigolio inquietante, tanto che Ryan percepì il cuore balzargli in gola, mentre il sangue correva ad accumularsi sul collo e le guance e le orecchie iniziarono a fischiargli. Riusciva a stento a captare altri rumori attraverso quelli frammentari dei propri respiri e del battito impetuoso del cuore.

-Resta qui- sussurrò dopo qualche secondo, in cui non era successo assolutamente nulla.
-Non puoi lasciarmi qui!- protestò Bryan a mezza voce, ma l'altro lo zittì subito con uno sguardo severo.
-Continua a pensare quello che vuoi di me, ma non ti muovere da qui. Devo prima controllare che lui non sia dietro questa cazzo di porta. Cercherò una via di fuga e tornerò a prenderti- sibilò e l'altro deglutì sonoramente.
-Mi fido di te, R.- mormorò Bryan, stringendogli un braccio con fermezza. Ryan fissò la mano dell'amico e i suoi occhi ebbero un fremito.

-Non devi. Continua ad avere di me l'idea che ti sei creato, non importa- disse e si scrollò da lui con stizza, poi si girò e scomparì dietro la porta, senza più darsi tempo per riflettere sulle possibili conseguenze delle proprie azioni.

Trattenne il fiato per quelli che gli parvero attimi infiniti, mentre gli occhi si abituavano alla luce forte e quasi accecante - rispetto a quella dell'altra stanza - che lo accolse. L'ambiente in cui si trovava era piccolo, stretto e si snodava perlopiù in lunghezza: un corridoio, su cui si affacciavano altre due stanze e una scala chiudeva il vano, scomparendo alla vista in salita, conducendo a un piano superiore.

Quel luogo aveva tutto l'aspetto di un'abitazione non terminata, con le pareti tinteggiate di bianco - che, nel frattempo, avevano accumulato già della sporcizia - e la pavimentazione ancora grezza. Non c'erano finestre né altre porte, ma sembrava che non ci fosse nemmeno anima viva.

Ryan si mosse a passo incerto, cercando di fare meno rumore possibile, infastidito dal suono prodotto dalle suole delle scarpe che sfregavano contro il cemento a ogni passo, assumendo alle sue orecchie la stessa rilevanza del rombo di una frana.

La pelle gli si ricoprì di sudore: la temperatura lì era già più mite, ma il calore che gli scaldava il corpo dall'interno non aveva nulla a che vedere con quella.

Si schiacciò contro la parete di sinistra, poggiandovi una tempia, trovandosi al limite imposto dall'apertura sul muro che introduceva in quella stanza, la prima delle due, sempre tenendo sotto controllo la scala in fondo al corridoio. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro: neanche un alito di vento, non riusciva a percepire nulla. Decise di muoversi ed entrò.

Anche quella camera era vuota, illuminata a giorno, grezza e priva di uscite. Cercò di calmarsi, di riprendersi dallo spavento procuratogli dall'idea di trovarsi faccia a faccia con Rozaf e, procedendo con estrema cautela, uscì di nuovo nel corridoio.

Anche nell'entrare nella seconda stanza si premurò di essere cauto, di mantenersi all'erta, ma pure quella volta incassò un'altra delusione: l'ennesima camera senza uscite. In quella, tuttavia, a differenza delle altre due che si era lasciato alle spalle, erano presenti un paio di mobili. Una brandina era stata sistemata a ridosso di un muro; un tavolo si trovava al centro e sulla sua superficie stavano dimenticati resti di cibo.

Ryan rivolse uno sguardo in tralice dietro di sé, assicurandosi di non avere il mostro ad alitargli sul collo, e tornò sui propri passi.

Mancava soltanto la scala.

"Ma quella è un problema enorme" si disse, nonostante fosse ormai arrivato alla conclusione che, se esisteva una via di fuga, di certo l'avrebbe trovata soltanto salendo i gradini che lo avrebbero condotto al piano superiore.

Deglutì e strinse con forza il telaio scarno, restando sulla soglia del nascondiglio di Rozaf, percependo un paio di schegge di legno conficcarsi nel palmo della stessa mano. Il dolore pungente lo fece rabbrividire, mentre il sudore gli colava sulla schiena e la T-shirt gli aderiva al corpo come una seconda pelle.

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