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Ryan aprì gli occhi e si guardò attorno senza riuscire a vedere con chiarezza alcunché: ebbe la sensazione di stare osservando cose attraverso una macchina fotografica, con l'immagine inquadrata non a fuoco. Mise da parte la vista e iniziò a muovere le mani, almeno cercò di farlo, sollevando le dita di una delle due, contraendo quelle dei piedi, ma tre movimenti su cinque non andarono secondo le sue previsioni, infatti non riuscì a sollevare l'anulare e il mignolo della mano destra e il piede dello stesso lato sembrava ancora addormentato.

Tentò con l'udito e si concentrò per ascoltare, ma l'unica cosa che captò fu uno strano silenzio, che rendeva l'aria pesante, come se fosse satura di suoni trattenuti, impossibilitati a venire fuori.
Poi tutto parve implodere e un fastidioso fischio arrivò a perforargli il timpano di un orecchio – anche se non era del tutto sicuro che quel rumore atroce fosse reale o frutto della sua immaginazione. Si mosse di riflesso dal lato opposto da cui gli sembrava provenisse quel suono e si irrigidì, finché le spalle si rilassano, così come le gambe, e tornò a muoversi.

Batté le palpebre e anche la vista, poco per volta, si fece più limpida.

Si trovava all'interno di una stanza d'ospedale; ogni volta che riapriva gli occhi si sentiva come catapultato all'interno di un mondo a lui sconosciuto, parallelo, fuori da tutto ciò che gli era familiare, sconvolgendolo volta per volta come se fosse la prima. Ma di luoghi come quello ne aveva frequentati spesso quando viveva con la sua famiglia, persino nel periodo in cui era stato con Max, perciò, dopo qualche istante di sgomento, fu in grado di collocarla all'interno di qualcosa di preciso, che gli fornisse punti di riferimento solidi, facendogli trarre un sospiro di sollievo.

A parte il mobilio anonimo, la sua attenzione venne catturata dal davanzale della finestra che si apriva sulla parete di sinistra e si sentì rincuorato quando vide i fiori che gli amici gli avevano portato e che avevano collocato lì, all'interno di vasi di diverse fatture e grandezze. 

"Non è stato un sogno" si disse, "Sono ancora vivo".

Nelle ultime due settimane, ogni volta che si svegliava, si sentiva come se stesse risorgendo dalla tomba e, puntualmente, i primi istanti doveva sforzarsi per riattivare tutte quelle facoltà umane e istintive che lui pareva avere disimparato a usare.

Ricordava vagamente lo spiacevole incontro di qualche giorno prima, di quell'agente che era arrivato – da solo? In compagnia di qualcun altro? Quel particolare gli sfuggiva – e lo aveva tartassato di domande, mentre lui cercava di riportare alla mente come si facesse a muovere la bocca e nel frattempo articolare le parole; come fosse possibile parlare e respirare, tenere gli occhi fissi su di un punto per più di dieci secondi senza venire sopraffatti da continui capogiri.

-Buongiorno, Ryan- udì la voce carezzevole di una donna, e la interpretò in quel modo proprio perché, a differenza di quella dell'agente, non gli procurò nessun fastidio fisico, nessun bruciore alle orecchie. -Ti sei svegliato e sembri rilassato, ne sono contenta. Ti ricordi di me? Sono la dottoressa Flores, la psicologa dell'ospedale: abbiamo parlato ieri mattina per la prima volta-
Ryan si limitò ad annuire, mentre fermava il proprio sguardo sulla spilla che la donna teneva appuntata nel risvolto del collo del suo camice bianco. Raffigurava qualcosa che però, a causa della distanza, il giovane non fu in grado di decifrare.

-Te la senti di parlare con me?-
Ryan socchiuse gli occhi e il suo corpo parve farsi tanto debole da dissolversi nel nulla, inglobato dal materasso del letto che occupava, come se avesse perso ogni più piccola briciola di sé, come se avesse smesso di esistere.

Non aveva voglia di parlare con lei, non aveva voglia di parlare con nessuno.

Ricordava a stento quello che era riuscito a dirle il giorno prima, parole sicuramente brevi e perlopiù non esaustive, così come ricordava ancora più vagamente quello che la dottoressa gli aveva detto, sciorinando tutta una serie di perché il suo malessere non fosse solo di natura fisica, ma anche mentale – dalla seconda motivazione in poi, probabilmente, Ryan aveva smesso di ascoltarla.

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