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-Voglio sapere dov'è Ryan!- tuonò Jade e la sua voce parve arrivare come un'onda gelida a infrangersi in ogni dove, turbando l'apparente calma generale che si poteva percepire all'interno del grande ufficio in cui si trovavano, preannunciando l'arrivo di una tempesta.

La centrale operativa dell'F.B.I di Los Angeles si modulava su diversi piani all'interno di un grattacielo dall'opulento colore bianco perlaceo, nei pressi del Westwood Park.

Jade non vi aveva mai messo piede prima d'allora, ma odiava già quel luogo, dove ogni cosa si muoveva a ritmi sostenuti, tutti costretti a un silenzio snervante e di laboriosa costanza. Non c'era spazio per niente che esulasse dal lavoro, dalle indagini, e stare lì in attesa che qualcosa si muovesse interrompendo il flusso continuo delle operazioni lo mandava fuori di testa: nulla che potesse dare un senso di logica ai suoi tormenti interiori, alla paura che gli attanagliava la bocca dello stomaco suscitandogli un continuo senso di nausea; si era già recato al bagno almeno quattro volte, ma in nessuna di quelle era riuscito a rimettere, se non un po' di saliva acida.

Aveva mangiato, sì, ma pareva che il suo corpo avesse assorbito bramoso le poche sostanze che aveva ingerito, impedendogli di porre fine al suo malessere a partire almeno da quello. Continuare a sbraitare, in attesa, con la nausea, il mal di testa, lo stava facendo impazzire. Non era un atteggiamento consono a un agente speciale, ma Jade erano mesi che rivestiva il ruolo di civile e, in quel momento, la cosa finì persino per rincuorarlo un po': non doveva dare dimostrazione a nessuno di nulla, poteva andare in escandescenza. Aveva lasciato l'agenzia e che gli altri agenti pensassero che lo avesse fatto perché era evidentemente un pazzo incapace non gli importava, non mentre l'ansia gli mozzava i respiri al pensiero di Ryan – e Williams – tra le mani di Rozaf Dervinshi, che era la reincarnazione del male stesso. Un uomo – se così si poteva definire – in grado di uccidere i propri figli in nome di una visione distorta e perversa dell'onore.

-Jade...- si sentì chiamare e l'agente contro cui il giovane stava inveendo poco prima – di cui non ricordava nemmeno il nome – sollevò le mani in segno di resa, girò su se stesso e si allontanò da lì, lasciandolo in compagnia del Direttore del Bureau di N.Y. e del suo eguale di Los Angeles. Dietro ai due uomini Jade intravide l'agente speciale Wong e, due passi dietro di lei, Sue. -Seguimi nell'ufficio del Direttore Trent, così potremmo discutere in privato-

Jade scosse la testa e si lasciò sfuggire un amaro sorrisino. Davvero suo padre credeva di poterlo mettere a tacere confinandolo all'interno di un ufficio, in attesa che loro continuassero a svolgere le ricerche di Ryan e Williams tenendo lui fuori dalla situazione?

-Io non vado da nessuna parte- sibilò. -Voglio sapere a che punto stanno le ricerche di Ryan e Bryan, è un mio diritto...!-
-No, non lo è e lo sai bene. Le indagini sono confidenziali, le informazioni non possono essere condivise nemmeno tra colleghi, se non tra quelli attivamente coinvolti nelle ricerche. E tu non sei più nemmeno un agente. Sei un civile, stai qui perché sei una parte coinvolta, sei legato a una delle vittime, ma non hai alcun diritto di poter pretendere altro- lo ammonì suo padre, con voce severa, e il giovane fu così stupido dalla freddezza con cui l'uomo gli parlò da non riuscire nemmeno a controbattere alle sue parole.

-Se ti è insofferente restare qui in attesa, se senti di non poter sopportare di tacere e aspettare che qualcuno di noi abbia qualcosa da dirti, allora ti conviene tornare da Blake-
-Siete tutti così impegnati a cercare Ryan e Bryan da perdere tempo a farmi la ramanzina-
-Sei tu che ci stai facendo perdere tempo, Jade- intervenne Fay. -Stavamo andando di là, dove tu non puoi venire, e ci troviamo il passaggio bloccato dalle tue piazzate-
-Perché Sue può venire dove cazzo state andando e io no?!-
-Perché lei, fino a prova contraria, è una mia agente e decido io per lei, ragazzino, non tu- ribatté il Direttore Trent e il gruppetto si mosse per superarlo, mentre suo padre restava indietro, al suo fianco.

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