12.

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Ero in anticipo come quasi tutte le mattine e ripassavo con la mente la lezione di storia per assicurarmi di ricordare tutto ciò che fosse realmente importante.

Lo zaino mi pesava come un macigno dietro la schiena e i due portachiavi che avevo comprato l'ultima volta che ero stata a Porto Rico, continuavano a tintinnare ad ogni passo.
Mi sarebbe piaciuto fare una pazzia: prendere il primo aereo per la casa della nonna e restare lì per qualche settimana, o qualche mese. Per disintossicarmi dalla città, per stare con persone che non mi premessero sulle spalle con le loro ansie fino a soffocarmi.

Era come sentirsi in trappola, in una botola, nella vasca piena d'acqua di Houdini e non riuscire a venirne fuori.

Feci per salire i gradini dell'entrata principale della scuola, quando Erick mi afferrò per i fianchi e mi trattenne.

«Oggi saltiamo le lezioni».

Mi diede un bacio sulla guancia e io mi irrigidii. «Come sarebbe?» chiesi.

Lui allentò la presa sul mio corpo e mi fece segno di consegnargli lo zaino. «Dobbiamo andare in un posto e non accetterò un "no" come risposta» mi disse.

Prese lo zaino e se lo mise in spalla, facendo scivolare la mano nella mia.

Provai a fare resistenza, impuntando i piedi sull'asfalto. «Erick, c'è storia...»

«Ci sarà anche dopodomani» e cominciò a trascinarmi fino alla sua macchina, che era parcheggiata accanto a quella del prof di inglese.

Avevo voglia di fare una pazzia? Erick me la stava proponendo.
Non avevo mai saltato scuola senza un motivo valido e questa poteva essere la prima volta. Dovevo solo lasciarmi andare e smetterla di essere sempre così pesante e bacchettona.

«Ma dove dobbiamo andare?»

Erick sorrise e si infilò gli occhiali da sole. «Scricciolo, ti piacerà».

♡ ♡ ♡

Parcheggiò nel quartiere misto della città, fuori una piccola villetta con la staccionata bianca e la cassetta della posta appena ritinteggiata.
L'erba era stata falciata da poco e la porta di casa era ancora umida di pittura.

«Ma perché...»

«Shh» Erick fece il giro della macchina e mi venne alle spalle, coprendomi gli occhi. «Fidati di me».

Mi condusse fin sotto il portico, accompagnandomi passo dopo passo, e lo sentii inserire la chiave nella toppa. «Di chi è questa casa?» domandai nella confusione più totale, mentre i miei occhi erano ancora coperti dalla sua mano.

Quando fummo dentro ed Erick ebbe chiuso la porta, mi liberò la vista. «Eccoci...»

Era una casa vuota, che aspettava di essere abitata da qualcuno e gli unici mobili di cui disponeva erano quelli della cucina.
Una cucina spaziosa, con il frigorifero messo già in funzione.

«Che significa?» sorrisi, con le sopracciglia sollevate.

Lui saltò a sedere sull'isola della colazione e mi indicò il forno. «È qui che ti eserciterai per il corso di pasticceria».

Strabuzzai gli occhi. «Cosa?»

Erick rise, arrivando a socchiudere gli occhi verdi.
Era così dolce, così premuroso.
«Questa casa è dei miei genitori e stanno cercando degli inquilini. Ci sono acqua e corrente e fino a che qualcuno non vorrà viverci... sarà tua» infilò le mani nella tasche dei pantaloni neri e mi porse le chiavi. «Qui sarai libera di testare tutte le ricette che vorrai».

Tengo que esperarte siete vidas más || Christopher VelezDove le storie prendono vita. Scoprilo ora