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Il messaggio che era arrivato sia a me che ad Erick era chiaro: era stata indetta una riunione al capanno e tutti noi eravamo richiesti con immediata urgenza.

Così, salutati i suoi genitori e abbandonata la grigliata di carne, ci eravamo messi in macchina in direzione della casa dei nonni di Joel.

L'aria tesa tra di noi riusciva quasi a renderci irrequieti, tanto che credevo che Erick potesse spezzare in due il volante per quanto lo stringesse forte.

A Portland le strade erano vuote e tirava vento, quel vento freddo che ti arrivava fino alle ossa, e mi ritrovai ben presto a sollevare i finestrini e a provare a smettere di rabbrividire.

«C'è una felpa sui sedili posteriori» la sua voce fu una sorpresa e uno schiaffo in pieno viso insieme. «Prendila, io sto bene così».

Con una maglia nera a maniche corte e i jeans era impossibile che non avesse freddo, ma mi limitai a dirgli grazie e ad indossarla, senza protestare.

E quell'odore, quell'odore che non sentivo addosso da quello che mi sembrava troppo tempo, fu una coltellata.

«Solo un mese fa non ti sarebbe sembrato così assurdo indossare quell'anello...» e mi parve più una cosa detta a se stesso che a me. «Christopher aveva ragione».

«Su cosa?»

Lui si voltò verso di me per un secondo, per poi tornare a fissare la strada deserta e spettrale. «Sull'averci separati».

Non risposi, non avendo niente che valesse la pena sentire, niente che smentisse o confermasse quelle parole.

Non dissi nulla, ma i sensi di colpa furono puntuali. Mi vennero a trovare indisturbati e mi invasero da capo a piedi.
Per distrarmi, poggiai la testa al sedile e fissai il finestrino appannato, dietro il quale vi erano tutte le cose che continuavano a sfuggirmi dalle mani come sabbia.

Arrivammo al capanno in dieci minuti, ed entrammo quando erano tutti già li, compreso Christopher.

Loro due non si guardarono ed Erick puntò verso il lato opposto della stanza, a costo di non averlo vicino.

Zabdiel, invece, cercò subito i miei occhi per assicurarsi che stessi bene. Annuii per tranquillizzarlo e andai a sedermi accanto a lui, baciandogli prima la guancia.

Solo quando nascosi le mani nelle tasche della felpa di Erick, Christopher la notò.

I suoi occhi scuri si spensero in un istante e mi rivolse uno di quegli sguardi delusi che erano più incisivi di pugni nello stomaco.

Stava probabilmente pensando che fossi tornata con lui. Ci aveva visto arrivare insieme, condividere un indumento... e quindi si ritrovò ad abbassare la testa per non guardarmi stretta in qualcosa che non fosse sua.

Adorava vedermi indosso cose che provenivano dal suo armadio, ma questa volta era l'armadio di un'altra persona.

Mi poggiai con la testa alla spalla di mio fratello e lui mi circondò con il suo braccio allenato, baciandomi tra i capelli.

«Allora» cominciò Richard trascinando al centro del capanno una lavagna con tanto di pennarello blu e cassino. «Venerdì è sciopero, sabato e domenica non c'è scuola...» scrisse queste parole con la sua scrittura disordinata. «Uguale...»

«Fine settimana in montagna dagli zii di Diana che non ci saranno» completò Joel sollevando entrambe le braccia al cielo. «Noi, alcol, niente genitori, niente controlli...»

Richard terminò di scrivere "montagna" e ci illuminò con uno di quei suoi sorrisi perfetti. «Dite che ci state, dai. Fustin bistin no tostin».

Tengo que esperarte siete vidas más || Christopher VelezDove le storie prendono vita. Scoprilo ora