1.

136 3 3
                                    

La risposta era arrivata quella mattina, dopo quasi due settimane che avevo smesso di aspettarla

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

La risposta era arrivata quella mattina, dopo quasi due settimane che avevo smesso di aspettarla. Ed era contenuta in una di quelle grandi buste gialle che mettevano sempre una gran paura e dentro le quali confidavi tutti i tuoi sogni e tutte le tue speranze. Perché potevano farti sentire sulla vetta del mondo, oppure mandare in frantumi tutto quello che avevi cercato di costruire con tantissima fatica.

Mi spaventava, mi spaventava davvero tanto.

Ed era per questo motivo che, rientrata in casa, ancora con i pantaloncini del pigiama e la canottiera, avevo mentito alla mia famiglia.

«E' arrivata?» mi aveva chiesto papà come tutte le mattine da quando avevo fatto domanda. E mamma e Zabdiel avevano smesso di fare colazione e si erano voltati verso di me.

Così, con un sorriso costruito sul viso che doveva rassicurarli, avevo scosso la testa e detto: «Ancora no, vogliono tormentarmi».

Ma non potevo evitare quella lettera per sempre, non con la pressione che sentivo sulle spalle e la necessità di essere sempre perfetta. Se avessi fallito avrei deluso coloro che mi volevano bene, compresi i miei amici, e non me lo sarei mai perdonato.

Ero Marisol e la Marisol che conoscevano tutti non sbagliava mai, non prendeva brutti voti, non infrangeva le regole.

«Sei pronta?» mi domandò Zabdiel facendo capolino dalla porta della mia camera.
Aveva indosso una di quelle larghe tute che nascondevano le forme ed una spessa collana al collo, il cui peso doveva aggirarsi intorno i tre chilogrammi.

«Sei ancora in pigiama?»

Mi riscossi con un sobbalzo, al suono di quell'ennesima domanda, e ficcai la busta gialla nel libro di spagnolo per non fargliela vedere.

Era impossibile nascondergli qualcosa, che lui la trovava sempre con i suoi sensi da segugio. Come i regali di Natale, che doveva cercare ossessivamente per tutta la casa, facendoci impazzire.

Mi poggiai alla scrivania, grattandomi la nuca con fare naturale e per niente nervoso, e dissi: «Sai una cosa? Oggi non vengo, mi prendo una pausa».

Lui sollevò le sopracciglia folte e scure e mi fissò come se fossi appena diventata stupida. «C'è il test di matematica» mi ricordò. «Lo salti?»

E fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso, o risvegliarsi da un bellissimo sogno. Perché ero in ritardo, avevo bisogno di una doccia che non potevo più fare e non potevo per nessuna ragione al mondo saltare quel test.

«Non era domani?»

Zabdiel fece roteare gli occhi al cielo e lasciò cadere lo zaino sul parquet. «Hai cinque minuti» mi avvertì. «Vedi di sbrigarti».

E quei cinque minuti non divennero dieci, o quindici. Restarono cinque. Ed anche se il risultato finale non era proprio un granché, era tutto quello che ero riuscita a combinare in un lasso di tempo striminzito.

Tengo que esperarte siete vidas más || Christopher VelezDove le storie prendono vita. Scoprilo ora