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Lo avevo visto solo nei film: la ragazza, per sfuggire alla vita scolastica, si rintanava nello sgabuzzino del collaboratore e ci restava fino a quando la sua anima gemella non si metteva a cercarla.
Veniva rassicurata, abbracciata e riusciva a tornare forte e sicura di se.

E poteva sembrare buffo ma, tra le scope e i detersivi quella sera c'ero io.
Vestita e truccata per lo spettacolo di Orfeo ed Euridice la cui messa in scena era prevista per le sette, ero fuggita dai miei impegni senza pensarci due volte e senza che nessuno mi vedesse.

Mentre gli altri si preparavano e Diana faceva avanti e indietro insieme a Joel per sistemare gli ultimi particolari, la pressione mi aveva giocato un brutto scherzo.

Tremavo, sudavo, il cuore mi batteva all'impazzata.

E non mi ero mai sentita così, neanche alle lezioni di pasticceria, o al test per l'ammissione al college.

Questa volta le cose erano diverse, le emozioni un totale disastro che mi dava la nausea.
Mi era bastato vedere i loro zaini, i costumi di scena dietro le quinte per mandarmi in iper ventilazione.

Controllai l'ora sul cellulare e lo stomaco mi si serrò. Mancava troppo poco e non ero ancora pronta ad uscire da questo stanzino che, tutto sommato, riusciva a darmi un briciolo di sollievo.

«Marisol?»

Non si erano dimenticati di me come avevo sperato.

«Mari, posso?»

Strisciai verso le porta con le ginocchia e girai la chiave nella toppa solo perché fuori c'era Zabdiel ed era l'unico in grado di infondermi la calma di cui avevo bisogno.
Era mio fratello e mi capiva più di chiunque altro al mondo, e avevo la necessità di averlo accanto.

Quando entrò, vestito come Ade e truccato con uno scuro ombretto nero sugli occhi e il rossetto dello stesso colore sulle labbra sottili, richiuse la porta a chiave e si sedette accanto a me.

«Quanto è ridicolo questo costume?» provò a farmi ridere.
Era una tunica rossa che gli lasciava scoperto il pettorale destro e sulla testa gli era stata messa una corona dorata. In camerino, invece, aveva anche lo scettro e i ragazzi di falegnameria avevano costruito il suo trono in una settimana.

Nonostante fosse una visione assurda vederlo conciato in quel modo, non sorrisi.

«Tu sei fantastica» mi analizzò.

Il costume che mi aveva cucito Yenny aveva superato di gran lunga le aspettative di Diana, che poi le aveva affidato anche quelli di tutti gli altri.

Era bianco, lungo, scintillante e a mezze maniche. Sulla pelle scendeva delicato e non aderiva al corpo. La stoffa che aveva scelto era di ottima qualità, perché al tatto era confrontante.
Ai capelli, Diana aveva voluto che facessi uno chignon con delle trecce sul davanti a mo' di corona e mi era stato applicato il lungo velo che arrivava fino a terra.
Il trucco era leggero, quasi invisibile.

«Anche Erick e Christopher stanno da Dio, mentre Rosalinde sembra davvero spaventosa... Richard è furioso, però» mi raccontò per rompere il ghiaccio.

«Perché?»

«Hai idea di quanto si soffochi nei costumi dei due personaggi che interpreta? Sarei furioso anche io» rise.

Poi si zittì e mi circondò la vita con il braccio, stringendomi a se.
Forse aveva capito che questo volta ero inconsolabile.

Mi baciò tra i capelli e poggiò la testa alla parete. «Hai paura di baciarlo, non è così?»

Nascosi il viso nel suo petto e gemetti di frustrazione. «Nelle prove lo abbiamo evitato... era più semplice. Poi Erick non ne è contento».

Zabdiel sospirò e cominciò a disegnare cerchi invisibili sulla pelle del mio braccio. «Non ti spaventa baciare Christopher per la possibile reazione di Erick, a te spaventa baciarlo perché hai paura che quello che proverai sarà più forte e travolgente di quello che provi ogni volta che stai con Erick».

Tengo que esperarte siete vidas más || Christopher VelezDove le storie prendono vita. Scoprilo ora