15.

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Ero furiosa.
Furiosa con Christopher, furiosa con Erick, furiosa con mio padre, furiosa con me stessa.

E tutta questa rabbia che sentivo dentro mi faceva mancare il respiro ad ogni passo mentre, uscita da scuola dopo aver cercato Chris per tutto lo stabile e averlo scoperto assente, camminavo per andare dritto a casa sua.

Gliene avrei dette quattro e lo avrei fatto oggi perché la notte mi aveva aiutata a maturare un pensiero che potevo infilare in un discorso di senso compiuto, cosa che la sera prima non ero riuscita a fare.

Dopo che la cena era finita e loro erano tornati a casa, mi ero sentita malissimo nel letto.
Per Erick che se la sarebbe vista con quella iena di Christopher e per la sottoscritta, che infondo avrebbe voluto passare un'ultima sera con un ragazzo che sarebbe partito e che forse non avrebbe più rivisto.

Yenny mi permise di aspettarlo in camera, dato che era sotto la doccia, e rimettere piede in quello spazio che conoscevo a memoria mi portò alla mente una serie di ricordi infiniti.

Era rimasta la stessa dell'anno prima. Quella con le pareti celesti e il letto con la trapunta bianca, quella con il giradischi azzurro e i vinili degli artisti latino americani esposti con fierezza sulle mensole. Ogni mobile, ogni cianfrusaglia, ogni pupazzo era nello stesso identico posto.

Molte foto appese alle pareti mi ritraevano in sua compagnia e la cornice che aveva sul comodino era capovolta.
Quando la sollevai, presa dalla curiosità di sapere quale foto avesse deciso di nascondere dalla sua vista, rimasi impietrita.

Ero io.

«Marisol, ma che cazzo fai?»
Christopher mi venne incontro e mi strappò la cornice dalle mani, guardandola per un momento e poi ficcandola nel cassetto. «Un po' di rispetto».

Indietreggiai e per poco non caddi sul letto, riuscendo a tenere l'equilibro.
Indossava solo un asciugamano avvolto in vita a coprire le parti intime e i capelli ancora gli gocciolavano.

Era... sexy.

«Scusa, io non volevo ficcanasare».

Lui si allontanò di poco da me e sbuffò sonoramente, fissandosi allo specchio e strizzando il ciuffo chiaro.
Riuscivo a vedere il suo addome definito, la v che spariva sotto il tessuto dell' asciugamano.

«Se sei venuta a chiedermi di perdere per Erick, puoi anche tornare a casa» mi disse.

Gli andai alle spalle e lo guardai in viso attraverso lo specchio. «Christopher, tu che ci guadagni?»

Incrociò i miei occhi nel vetro e vidi il suo pomo d'Adamo alzarsi ed abbassarsi. «Divertimento».
Si voltò verso di me e il suo petto urtò il mio. «Comprendi?»

Una smorfia di disgusto si palesò sul mio volto senza che riuscissi a nasconderla. «Lo mortificherai in un modo orribile e ci tiene a fare bella figura con mio padre».

«Non è un mio problema, piccola M».

Mi sorpassò e aprì l'anta dell'armadio, cominciando a cercare una maglietta da indossare. Quando la trovò, nera e con una stampa sul davanti, la lanciò sul letto.

«Lo ferirai» aggiunsi.
Ea avvilente assistere a tanta indifferenza per i sentimenti di quello che un tempo era stato un suo amico. Non ero sicura che Erick si sarebbe comportato allo stesso modo, soprattutto con la prospettiva di lasciare la città.

Tengo que esperarte siete vidas más || Christopher VelezDove le storie prendono vita. Scoprilo ora