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Mi svegliai all'ora di pranzo, quel sabato mattina, ancora scossa ed ammaccata per quello che era successo con Christopher. E mi trascinai in sala pranzo con una coperta avvolta intorno al corpo e gli occhiali da sole.

Il mio viso assonnato era un disastro e i miei occhi così tormentati da spaventare persino me stessa.
Si vedeva che avevano pianto tutta la notte e che le mie guance avevano fatto da cuscino.

Dovevo solo focalizzarmi sulle cose belle della mia vita, mi ero detta, e non pensare ossessivamente al passato perché non lo potevo più cambiare, ma non ci riuscivo.
Christopher aveva riaperto una ferita che avevo provato a chiudere per dodici mesi, e ci aveva messo sopra del sale.

Sentivo un dolore acuto al petto, e il cuore fare fatica a pompare il sangue normalmente.

«Marisol, togli quegli affari» mi ammonì mio padre sedendo a tavola.
Il sabato non lavorava, ma la mattina usciva comunque presto per andare a pesca. Indossava quei terribili stivali impermeabili, il cappello giallo, e quando non riusciva a ricavare niente dalle lunghe sessioni in barca, diventava irritabile ed incredibilmente insopportabile.

Come in questo momento, ad esempio.

«Non hai preso nessun pesce, vero?» domandai, invece.

«Nessuno... quei maledetti mi sfuggivano sempre» borbottò addentando un grissino di pane. «Ma se questo era un tuo modo per distrarmi, non ci sei riuscita. Devi togliere comunque questi occhiali. Siamo a tavola» ripeté serio.

Sbuffai e li tolsi, controvoglia, mostrando due occhiaie profonde e scure, e le pupille piene di vene rosse. «Grandioso...»

Zabdiel ci raggiunse qualche minuto dopo, sorridente e fresco come una rosa appena sbocciata.
Sembrava rilassato, tranquillo e con un aspetto così sano da generare in me una gelosia incontrollata.

Avrei dato tutto per ritornare a qualche giorno prima, a quando la mia unica preoccupazione era ricevere la risposta dal corso di pasticceria, e non pensare a quanto amassi Erick e a quanto mi sentissi ancora incredibilmente legata a Christopher.

«Erick ti ha tenuta sveglia?» mi chiese Zabdiel con un sussurro, sporgendosi verso di me per evitare che nostro padre sentisse.

«Perché lo dici?»

«Perché solo dopo otto ore di sesso ininterrotto, una persona si riduce al tuo stato» mi spiegò con una risata, facendomi arrossire violentemente.

«Ti informo che non tutti sono pervertiti come te!»

«È pronto!» esclamò mamma portando in tavola una pentola piena di buonissimo asapao di pollo, che mi fece venire l'acquolina in bocca.

Nelle giornate speciali, e nei giorni in cui si festeggiava qualcosa di importante, mamma preparava sempre un piatto tipico portoricano, rifacendosi alle tradizioni con le quali lei e papà erano cresciuti.

Porto Rico era la nostra seconda casa ed era lì che avevamo tutti i nostri parenti più stretti e gli affetti più significativi.
Ci andavamo solo in estate, in visita, e cercavamo di fare il pieno di meraviglia per l'inverno e di portare le nostre origini anche a Portland.
A casa si parlava l'inglese e lo spagnolo insieme, e si cercava tutto l'anno di non dimenticare da dove provenissimo.

L'attaccamento per la nostra terra era radicato in ognuno di noi, anche se io e Zabdiel eravamo cresciuti in un altro posto e con un modo di vivere differente.

«Spero sia venuto come quello della nonna» disse eccitata, cominciando a servirci la zuppa di pollo con riso e soffritto portoricano.

Una volta aver avuto la mia porzione, il profumo della cipolla, dell'aglio, del pomodoro e del peperoncino era un'esplosione nel mio naso, ed ero più che sicura che fosse venuto perfettamente.

Tengo que esperarte siete vidas más || Christopher VelezDove le storie prendono vita. Scoprilo ora