L' Autobus

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 Mauro e Moira riuscirono a lasciare la città senza essere scoperti.
Guardarono alle loro spalle: piccole colonne di fumo si ergevano da varie zone dell'abitato ma tutto sembrava stranamente silenzioso, tranquillo.

Ogni tanto vedevano partire uno dei loro velivoli: alcuni erano poco più grandi di un furgone, altri come un camion, di forma allungata e in colori fra il blu e l'argento, non avevano niente da invidiare alle astronavi così spesso viste nei film.

"Dovremmo evitare la statale e proseguire sulle strade sterrate o fra i campi" suggerì il giornalista. "Non è detto che qui sia sicuro, ma sicuramente sono percorsi meno conosciuti e battuti."
Moira trovava rassicurante la compagnia di quell'uomo; non aveva idea del fatto che anche lui fosse terrorizzato dalla situazione: non tornava a casa da un giorno ormai e si chiedeva se Noemi e i figli fossero al sicuro.
L'idea di non trovarli a casa, portati via da quella gente, lo spaventava a morte.
Pen-min aveva fornito loro cibo e acqua sufficienti per il viaggio, più due rotoli di carta stagnola e un piccolo kit di pronto soccorso.

Quaranta chilometri avrebbero potuto macinarli camminando senza sosta per otto ore, ma dovevano tenere conto di tanti fattori: Moira non era allenata e ogni tanto aveva bisogno di riposare, inoltre non sapevano cosa avrebbero potuto incontrare lungo il tragitto.
Mauro sperava di poter rientrare a casa e riabbracciare i suoi cari entro sera.

Camminavano passando fra l'erba alta o fra le piante di mais, abbastanza alte da coprirli, se si accovacciavano oppure, strisciando nei piccoli canali e corsi d'acqua. Ogni tanto si appiattivano a terra, quando avvistavano uno dei velivoli alieni; erano silenziosi e ci si accorgeva della loro presenza solo all'ultimo momento, tanto che più volte rischiarono di essere scoperti.

"Guarda!" indicò Moira. A circa cento metri da loro c'era un autobus di linea che giaceva su un lato. Era lontano dalla strada principale: evidentemente chi era alla guida aveva tentato la fuga.
Si avvicinarono con cautela. Non erano armati: avevano solo una sbarra di ferro a testa, raccolta in un cantiere in periferia.
Mauro si arrampicò dal lato delle ruote, dove aveva più appigli, e si infilò nel mezzo. Non c'era nessuno, ma non poté fare a meno di notare una grossa chiazza di sangue sul sedile dell'autista. Si tirò su e riemerse, rassicurando Moira e aiutandola a raggiungerlo.
"Qui possiamo riposare un po'. Non credo torneranno" constatò.
La donna si guardò attorno, rabbrividendo non appena notò il sangue. "Credi che gli abbiano fatto del male?" chiese, conoscendo già la risposta.
"Non c'è altro sangue. Credo che i passeggeri stiano bene" cercò di essere positivo.
"Dove li avranno portati?" Moira cercava di non piangere.
"Non lo so, ma se mai dovessero trovarci, conciati così, non sembreremmo nemmeno umani" rispose l'uomo bevendo un sorso d'acqua. Erano entrambi bagnati e sporchi di fango: con quell'aspetto e la stagnola intorno alla testa, sembravano loro gli alieni. Si guardarono e scoppiarono a ridere, anche se solo per qualche secondo.

"Come si chiama tua moglie?" chiese la donna, cercando di spostare l'attenzione da quella tragica situazione.
"Noemi. Pensa che ieri era il nostro decimo anniversario. Ho anche due figli, Samuele e Alice" tirò fuori il cellulare, che ormai aveva la batteria quasi scarica, mostrandole alcune loro fotografie.
"La bambina ti somiglia molto!"
"E tu? Tuo marito?"
La donna si rabbuiò. "Non ho un marito, non più. Sono divorziata da tre anni e spero vivamente che quel bastardo del mio ex sia stato il primo ad essere portato via dagli alieni, ecco!"
Mauro rise. "Deve avertela proprio combinata grossa!"
Moira annuì: "Il gran signore mi ha mollata per una ragazza appena maggiorenne, non passa gli alimenti ai figli e si fa sentire una volta ogni morte di Papa. Ti basta?"
"Proprio un grande uomo, non c'è che dire!"

La donna si distrasse, attirata da qualcosa fra sedili in fondo. Strisciò fino a lì, tirando fuori una borsetta da donna incastrata fra un sedile e l'altro.
La aprì e ne estrasse un portafogli e un telefonino. Tirò fuori la carta d'identità con foga, come se scoprire la proprietaria della borsa fosse di vitale importanza. Lesse ad alta voce: "Vittoria Bergamin, nata a Verona il sedici aprile millenovecentosettanta" sospirò, "ha solo quattro anni più di me" sembrava sconvolta. Toccò lo schermo del cellulare, che non aveva un codice di sblocco. Provò a telefonare ma, come era ovvio, non c'era linea. Guardò nella galleria e fece scorrere le foto della donna che la ritraevano con delle amiche e con un uomo e dei ragazzini, che non potevano che essere la sua famiglia. Una lacrima percorse il suo volto e si morse il labbro inferiore per trattenersi.

"Chissà dove si trova adesso, se sta bene. I suoi famigliari la staranno cercando..." cominciò a singhiozzare.
"Ti ha proprio sconvolta, eh?" le disse Mauro in tono amorevole, attirandola nel suo abbraccio confortante.
"È che penso che potrei fare la sua fine e non tornare più dai miei figli! Come farebbero da soli? Mia madre è anziana, non so davvero cosa aspettarmi" pianse.
Anche Mauro si sentiva così, ma non voleva far cadere la compagna di viaggio ancor più nella disperazione.
Decise di prolungare la sosta, la fatica fisica, e quella emotiva, si stavano facendo sentire.

A quaranta chilometri da loro, il bunker sotterraneo si era popolato.
Una cinquantina di persone avevano occupato le stanze attrezzate e rimanevano in silenzio, in attesa.
Solo i più giovani giocavano, approfittando del calcio balilla e della piccola palestra.

Alberto era seduto di fronte ad una serie di monitor, puntati su varie aree del piccolo comune.
"Che ne sarà degli altri?" chiese Noemi, riferendosi agli altri abitanti del paese.
Il padre divenne scuro in volto. "Purtroppo non c'è posto per tutti." Strinse un pugno; si sentiva terribilmente in colpa, aveva organizzato tutto da anni, ma non pensava sarebbe successo tutto così presto.
"Non pensi che possano trovarci anche qua?"
L'uomo era molto sicuro di sé in questo. "E perché dovrebbero? Potrebbero mai pensare che ci eravamo preparati?" Certo, questo valeva fino a che uno dei suoi collaboratori non avesse parlato, ma si fidava di loro, sapeva che sarebbero morti anziché parlare.

Alberto fu attirato da uno schermo in particolare e la figlia seguì il suo sguardo.
"Ma quelli non sono alieni, sono militari! Sono venuti a metterci in salvo!" esclamò la donna, sollevata. "Possiamo andarcene da qui e cercare Mauro!"
Stava per lasciare la stanza quando il padre la afferrò per il polso. "Aspetta" le intimò. "C'è qualcosa che non mi torna. Osserva."
Stavano bussando alle porte della gente, cercando il loro nome su degli strani tablet. I filmati erano senza audio, ma si poteva intuire. Videro una famiglia gesticolare animatamente: con molta probabilità volevano sapere il motivo per cui dovevano lasciare le loro case e ciò che gli era stato detto, non li aveva convinti. I militari cercavano di calmarli ma loro incrociarono le braccia e fecero per chiudere la porta di casa, quando un raggio blu sembrò paralizzarli.
Noemi sussultò.
Una figura, che prima non si era vista, scese dal mezzo militare.
"Oh mio Dio..." la donna rimase senza fiato.
Era un uomo molto alto, dalla pelle bluastra e sottili capelli biondi. Ma fu quando lo vide in volto che Noemi gridò. Non era il volto di un essere umano.

Si lasciò cadere sul pavimento, accanto alla sedia del padre.
"Allora è tutto vero" sussurrò, realizzando.

La strada di casaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora