Promessa di una notte

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La notte, fedele compagna, entrava pungente nei polmoni, promettendogli ancora una volta la sua complicità. Jeff ne annusò l'aria frizzante e umida, pregustando l'odore metallico di sangue innocente, che di lì a poco avrebbe versato. La perlustrazione dei grandi viali costeggiati da case indipendenti era appena iniziata. Erano mesi che non mandava a dormire nessuno, e la cosa lo innervosì parecchio. La polizia era riuscita, ancora una volta, ad essere sulle sue tracce, pertanto fu costretto (come faceva da diciasette anni a questa parte) a cambiare stato e starsene buono per un po' , affinché fosse di nuovo invisibile agli occhi degli sbirri e dei media. Da settimane non si parlava più di Jeff, ossia dello "sonosciuto assassino": ogni uomo, donna o bambino, aveva tumulato il suo terribile ricordo sotto quintali di impegni quotidiani, lavoro, scuola, pranzi da preparare per i propri figli. Nessun giornale gli dedicava più un rigo, nessun notiziario allarmava più la popolazione con notizie vere o fasulle sui suoi avvistamenti, nessun documentario presieduto da strizzacervelli tediava gli spettatori con teorie assurde sulla sua personalità. Di nuovo, la memoria degli uomini lo aveva inghiottito, ma lui sapeva sempre come riaffiorare, imponendo la propria presenza nelle menti di ognuno, facendo riecheggiare il suo nome come un'ossessione.

Avrebbe fatto conoscere la sua perfezione a quel mondo marcio e ingrato che mai lo avrebbe accolto tra le sue viscide braccia, non da quando la sua carne fu temprata dalle fiamme e dalle grida lancinanti che gli uscirono dall'anima, quella stessa anima che più nessuno vide da quella notte.

A volte si chiedeva come sarebbe stata la sua vita se non avesse iniziato il suo macabro rituale: si immaginava solo, zeppo di psicofarmaci e malinconia. Immaginava i genitori dare fondo ai risparmi e al tempo, pur di farlo tornare come prima. Figurava nella sua mente il volto atterrito e disgustato di sua madre, che gli avrebbe ipocritamente cinto le spalle in un abbraccio riluttante, ma doveroso. Immaginava il sorriso di suo padre, che celava il disagio di doverlo guardare in faccia. Pensava a suo fratello, che sarebbe cresciuto tenendo nascosto l'increscioso fatto di vivere con uno scempio vivente. Immaginava se stesso: avrebbe pianto. Ora, invece, non poteva fare a meno di sorridere, con quelle cicatrici che adorava.

Cominciò ad insinuarsi quella strana e perversa euforia, quella che a tredici anni conobbe come "la strana sensazione" la sentiva fin dentro le vene. Il prossimo bersaglio era vicino.

Più del suo pugnale. (Jeff the Killer)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora