Capitolo 43

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Newt

Quando l'auto si fermò davanti all'entrata del Motel, scesi dal veicolo continuando a guardare l'asfalto della strada. Non ero in grado di proferire una singola parola ma, al contempo, avrei potuto dire di tutto e di più. Stavo per chiudere la portiera alle mie spalle, quando la voce roca di Richard mi richiamò.
«È stata una buona chiaccherata, Newton. Grazie per avermi concesso parte del tuo prezioso tempo.»

Non riuscendo a replicare, non dissi nulla e, in silenzio, lo osservai farmi un cenno con il capo e chiudere la portiera. In un attimo ero tornato ad essere totalmente solo.
Fu in quel preciso momento che sentii tutta la tensione di quelle poche ore cadermi sulle spalle. La stanchezza mi avvolse e, affranto, mi portai una mano alla fronte.
«Perché non potevo avere problemi normali come tutto il resto del mondo...» Sussurrai tra me e me, prima di voltarmi e dirigermi verso la mia stanza.

Mentre camminavo a passo lento, non potevo staccare gli occhi dal pavimento mentre continuavo a stringere i pugni con sempre più forza.
Quando arrivai davanti alla porta della stanza, notai la luce accesa e non appena bussai, sentii un tonfo dall'altra parte della stanza. In seguito dei passi pesanti si diressero verso la porta, che venne spalancata quasi violentemente.

Davanti a me sì presentò un Tommy spettinato, dalla camicia bianca stropicciata e completamente sbottonata.
«Finalmente sei qui!» Sospirò con gioia, mentre mi portò tra le sue braccia e mi strinse forte contro di sé.
Rimasi sorpreso da questa accoglienza, ma in seguito mi addolcii subito e ricambiai l'abbraccio, portando le mie mani sul tessuto bianco.
Quando ci staccammo, Tommy mi afferrò il polso e mi trascinò all'interno della camera, spingendomi poi sul materasso.

Sedendosi sulle mie gambe, portò le sue mani sul mio collo avvicinado così le nostre labbra. Queste si unirono in un bacio che in un attimo si ravvivò di una passione ardente.
Portai le mie mani, ancora gelide visto la temperatura esterna, sui suoi fianchi al disotto del tessuto, mentre il bruno aveva cominciato a baciarmi il mento, arrivando al collo. Con le mani, mi tolse il giubbotto e iniziò a sbottonarmi la camicia, con una lentezza quasi sensuale.
Mentre il mio respiro stava iniziando a farsi sempre più affannato, tutto d'un tratto lui si fermò. Appoggiò il suo capo sulla mia spalla e abbandonò le sue braccia ai suoi fianchi, cogliendomi alla sprovvista.

«Tommy... Senti devo dirti una cosa...» Dissi titubante, cercando di attirare la sua attenzione.
«Anche io devo dirti una cosa... Inizia tu però.» Sussurrò alzando il capo e guardandomi in faccia.
«Va bene... Oggi ho incontrato tuo padre. Voleva vedermi per parlare di te... Ci siamo detti molte cose, ma tranquillo, non è stato nulla di importante...» Volevo essere sincero con lui, il più possibile, visto che le parole di Richard erano riuscite a smontare in parte le poche sicurezze che mi erano rimaste.

«Grazie per averlo detto...»
Tu cosa mi dovevi dire invece?- Attesi una risposta, ma diversi minuti di silenzio totale seguirono le sue parole e, questo, mi preoccupò. -Stai bene?» Domandai, mentre lui continuava a non muoversi dalle mie gambe.
Sollevai una mano, cercando di toccargli il viso ma lui si scansò quasi immediatamente e di alzò, rimanendo in piedi davanti a me.
«Newt, tu ti fidi di me?»
La sua voce era quasi totalmente cambiata, infatti sembrava essere ferito e, per questo, sembrava avere difficoltà nel parlare.

«Cosa stai dicendo, ovvio che mi fidi di te.» Dissi ridendo leggermente ma, non appena pronunciai quelle parole, Tommy sollevò il suo viso e mi guardò con un'espressione mai vista prima. Capii di aver detto le parole sbagliate.
Quasi amareggiato, mi diede le spalle e si diresse verso l'appendi abiti, dove si trovava la sua giacca. Rovistò nelle sue tasche, finché da una di queste estrasse una busta bianca. Me la porse e, titubante, la aprii lentamente.
Infilai la mano nell'oggetto e, quando estrassi le fotografie, sentii ancora una volta in quella giornata un vuoto al centro del petto.

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