Capitolo 12

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Newt

Appena quella porta si chiuse, crollai sul pavimento. La temperatura era calda nella palestra ma non volevo togliermi quella sciarpa.

Si era scusato, si era pentito. E io cosa avevo fatto? Lo avevo guardato e non avevo risposto. Forse aveva ragione... Sono una persona orribile.

Eppure non ero così, era solo a causa sua. La porta venne riaperta, sperai anzi pregai che fosse lui. Ma era solo Sonja.

Vedendomi in quella situazione, corse verso di me, piegandosi davanti a me così che i nostri visti fossero alla stessa altezza.
Con il pollice mi asciugò una lacrima e, tristemente, le sorrisi.
«Sonja... Io...» Balbettavo, mi sentivo la lingua legata in un nodo troppo stretto per essere lasciato andare.

«Lo so... Noi Sangster facciamo schifo in amore. » Anche i suoi occhi erano lucidi e, quando una lacrima le rigò il viso, feci lo stesso segno che lei aveva fatto a me.
Sonja non sapeva di me e Alby, nessuno doveva. O sarebbe successo il peggio.

«Andiamo a berci qualcosa, così che noi possiamo raccontarci le nostre pene. » Mi sorrise, prima che io le porgessi una mano per farla alzare.

Io stavo crollando, allora perché ero io quello che aiutava gli altri?

* * *

«Quindi? Cosa è successo. » Le chiesi mentre beveva più della metà di un boccale di birra.

Il locale che avevamo scelto, senza che lo facessimo apposta, ero lo stesso in cui ero andato con lui.

Vedevo i suoi occhi dovunque, il suo sorriso... Non riuscivo a pensare ad altro.

Sonja non sembrava essere nella sua forma più splendente. I suoi capelli, legati in una treccia, erano disordinati e alcune ciocche erano sfuggite alla pettinatura. I suoi occhi, di solito contornati da del trucco, erano circondati da delle occhiaie nere e, senza alcun prodotto sul viso, si poteva notare quanto fosse pallida e dimagrita.
Indossava dei semplici jeans scuri e una felpa rubata dal mio armadio. Non sembrava mia sorella.

Quando finì di bere, sospirò rumorosamente.
«L'amore fa schifo. Voglio rimanere zitella a vita. Vivrò in un vecchio appartamento, armata di trenta gatti e soap popere depresse. »

Le sorrisi, divertito, mentre continuavo a giocare con il manico del boccale.
«Odio di più la vita in generale. » Confermai, abbassando lo sguardo.

Lei rise, una risata tutt'altro che allegra. Una forzata.
«Forse dovremmo andarcene. Sai, cambiare paese e sparire. Come quel ragazzo, figlio di quei politici... Come si chiamava... Dylan O'brien!» Pronunciò quel nome con fierezza, felice di esserselo ricordato.

Io invece non sorridevo.
Per una volta, non volevo pensare a lui. Nonostante fossi con qualunque persona su questo pianeta, io pensavo solo e solamente a lui. Ormai avevo accettato quello che il mio cuore diceva, eppure sapevo bene che erano solo stupidi sogni.

Bevvi tutto in un sorso.
«Cavolo... Anche tu non sei messo bene.»
«Non puoi immaginare quanto.» Sospirai.

Purtroppo avevo sempre retto bene l'alcol, al contrario Sonja aveva già le guance arrossate.
Cercammo di parlare d'altro, finché alla fine, senza che le chiedessi nulla e dopo un paio di birre, iniziò a parlare del suo problema.

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