Capitolo 47

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Dylan

Trassi un profondo respiro, prima di bussare leggermente alla porta dinanzi a me. Erano passate alcune settimane dalla decisione di parlare con mio padre. Nom ero riuscito a prepararmi per affrontarlo immediatamente e, soprattutto, volevo prepararmi psicologicamente, inq auto era consapevole che quella discussione avrebbe cambiato tutto.

C'era solo da scoprire se in meglio o peggio.

Una voce profonda e maschile mi rispose dall'altra parte, invitandomi ad entrare. Non appena provai a chiuderle a pugno, le piccole ferite quasi mi rimproverarono, infliggendomi del dolore pungente ai palmi.

Visto che continuava a ignorarmi, decisi finalmente di farmi notare, schiaredomi la gola. Subito alzò il volto e, per alcuni attimi, rimase quasi sorpreso dalla mia presenza, come se non se l'aspettasse. Eppure la sua espressione non sembrò cambiare di un millimetro, solo i suoi occhi si sgranarono per un millesimo di secondo.
«Oh... Dylan, eccoti qui. Onestamente non ti stavo aspettando, ma va bene comunque... Come stai? Ho saputo di Ne...» Non gli diedi il tempo di pronunciare il suo nome, perché io gli parlai sopra così da bloccarlo.
«Credo stia bene. È tornato a Londra.»

Lui sembrò percepire l'acidità nella mia voce, tanto che la sua espressione divenne ancora più seria. Posò la penna su alcuni fogli dinanzi a lui, per poi appoggiare la schiena contro la poltrona e portare le mani dinanzi a sé.
«Perché sei venuto qui?»
«Perché pretendo delle scuse. Da te.» Dissi schietto e secco, senza mezzi termini.
«Scuse? E per cosa sentiamo.» Disse quasi beffardo nei miei confronti, quasi come se gli avessi chiesto di comprarmi un pony rosa.

«Per aver rovinato la vita a un povero ragazzino.- Mi avvicinai alla sua scrivania e portai i miei pugni sul legno del tavolo. -Per tutto quello che gli hai negato.»
L'uomo dinanzi a me abbassò il capo, per poi scuoterlo.
«Dylan... Come posso spiegartelo? L'ho fatto per te, Newt non era giusto. Non che io abbia problemi con una relazione omosessuale, finché mio figlio rimane l'uomo della relazione. L'unico problema è che quel ragazzo aveva troppi problemi per stare con un ragazzo promettente come te.»
Cercai di ignorare ciò che disse sulle relazioni omosessuali, perché altrimenti avrei rischiato di non toccare gli argomenti che volevo trattare, ma potevo sentire il sangue ribollire nelle mie vene.
«L'unica cosa che hai fatto e aver allontanato una persona a cui volevo bene. La stessa che mi sarebbe stata affianco per tutta la vita.»

«La stessa persona che non ti ha raccontato degli abusi che viveva da, dio solo sa, quanto tempo?»
Questa sua affermazione mi colpì dritto al cuore, tanto che per un attimo rimasi a bocca aperta. Sentivo gli occhi bruciare e la gola asciutta. Il mio cervello si stava annebbiando, quasi come se stessi andando in tilt.
«Aspettava il momento giusto. Ciò di cui avevamo bisogno era solo un po' più di tempo, ma tu hai rovinato tutto.»

Mio padre mi guardò negli occhi, per poi alzarsi e arrivare fino a dinanzi a me. Appoggiò le proprie mani sulle mie spalle, ma subito le scrollai per allontanarlo da me.
«Smettila di incolpare chi vuole solo aiutarti, Dylan. L'ho fatto per te, per il futuro della nostra famiglia. Per noi.»

«Non c'è mai stato un noi tra me e te. Hai sempre cercato di farmi fare solamente quello che piaceva a te, mi hai modellato come si fa con la creta, così che fossi identico a te. Ma basta. Mi sono stancato, voglio che tu mi lasci vivere la mia vita e tu la propria.» Dissi freddo e deciso. I pugni erano serrati e i miei occhi trasmettevano una sicurezza che il mio stesso padre non aveva mai visto.

Tutto d'un tratto il nostro discorso fu interrotto dal segretario che, aprendo la porta, si rivolse al suo capo.
«Mi scusi signore, ma il suo ospite è arrivato. Posso farlo entrare?»
«Sì certo, la stavo aspettando.»
L'uomo annuì leggermente, lanciandomi poi uno strano sguardo. Fu difficile da tradurre ma, non appena la porta si aprì, percepii come tutta la mia sicurezza crollò, come un castello di carte.
«D... Dylan, sei proprio tu?»
«Ma... Mamma?»

* * *

Sonia

Newt aveva appena terminato di raccontare tutto e, ormai, avevo perso completamente il controllo delle mie emozioni.
Che razza di sorella non avrebbe mai potuto notare una cosa del genere? Mi sentivo ferita ma soprattutto delusa da me stessa.
Gli altri erano in silenzio e osservavano il biondo e la sua espressione indecifrabile. Anche in quel momento, manteneva la sua espressione fredda e distaccata.

Tra tutti, Brenda era l'unica che non ne sembrava più di tanto sconcertata, quasi come se sapesse cosa Newt avrebbe raccontato.
Quando tutti si alzarono per andare ad abbracciarlo, io rimasi in piedi, distante da tutti, come se stessi guardando una scena di un film. Non riuscivo ad esserne parte.
Brenda fu la prima a notarmi e, abbandonando l'abbraccio, mi si avvicinò. Allungò il suo braccio e mi prese la mano, portandomi poi tra le sue braccia.
«Tranquilla Sonia... Ci vorrà tempo, ma va tutto bene adesso.»

Mille emozioni diverse iniziarono ad annodarsi in me, tanto che scoppiai in un pianto quasi disperato ma liberatorio. Newt subito mi notò e, avvicinandosi a me, Brenda mi spinse tra le sue braccia.
Il calore di mio fratello mi scaldava, ma non mi tranquillizzava abbastanza.

Lo spinsi via e, con quasi foga, mi asciugai il viso, andando ad irritare leggermente le mie gote.
«T... Tu... I... Io...- Balbettavo nervosa, incapace di trovare le parole da dire.
"Scusa" ?
"Perché non me l'hai mai detto?" ?
"Voglio vedere quel mostro in una bara" ?
-Q... Quando mamma e... E papà sono m... Morti, mi avev... Avevi promesso che non... Non ci sarebbero più stati segreti t... Tra noi...-
Sentivo dentro di me un forte calore, proprio al centro del petto.
-N... Non ti fidi di me, vero? Infondo quando mai ti sei mostrato debole davanti a me? Mh?!-
Il balbettio era stato sostituito da un tono severo e duro, sempre più pungente. Con una falcata mi ritrovai ad un palmo dal suo viso. Sollevai le braccia e, stringendo le mani in due pugni ben serrati, iniziai a colpire ripetutamente il suo petto.
-Chi ti credi di essere?! Perché non ti permetti un minimo di umanità?! Non sei un cazzo di eroe! Non sei... Non sei... -
Le mie ginocchia cedettero e utilizzai le sue spalle come appiglio, trascinando mio fratello a terra con me. I singhiozzi ritornarono e, questa volta, Newt non mi strinse a sé, anzi, rimase immobile.
-Non devi fare tutto da solo. Ti prego... Fatti aiutare.»

E fu in quel momento, con quelle esatte parole, che dopo anni sentii le lacrime di mio fratello bagnarmi la spalla. Con tutto il suo peso si appoggiò a me, per poi stringermi a sé con tutta la forza che aveva in corpo. Finalmente lo sentivo davvero di nuovo vicino... Avevo ritrovato mio fratello. Eravamo di nuovo insieme.

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