«Ha ufficialmente inizio l'operazione caffelatte!» esclamò Niall saltando sul letto in un moto di entusiasmo. Tra le mani stringeva un quadernino rosso nel quale aveva annotato scrupolosamente gli elementi fondamentali dell'accaduto e le sue ipotesi a riguardo.

«Niall, smettila di fare casino! Sto cercando di riposarmi!» infuriato, Greg entrò nella camera del fratello minore.

«Esagerato, neanche stessi suonando la batteria» rispose l'altro con una smorfia sul viso.

«E quello cos'è?» chiese Greg indicando il quadernino rosso.

«Nulla che ti riguardi». Niall si affrettò a scendere dal letto e corse verso l'armadio per metterlo al sicuro, ma il fratello riuscì a intercettarlo e a sfilargli il quadernino dalle mani.

«Ridammelo, non sono affari tuoi!» gridò saltellando inutilmente intorno al fratello maggiore, decisamente più alto di lui.

«E invece sono affari miei, visto che questo è il motivo per cui mi hai svegliato». Iniziò a sfogliare soddisfatto le pagine scritte e la sua espressione, da allegra e gongolante che era, si fece prima confusa, poi incredula e infine grave.

«Niall, si può sapere cosa stai combinando?» lo guardò seriamente Greg «L'operazione caffelatte, lo stalker, Trisha Malik...»

Il fratello, sentendosi colpevole, smise di saltellare e assunse un'aria contrita.

«Mi sembra una faccenda abbastanza importante, forse non ti sei reso conto appieno delle implicazioni che ne potrebbero derivare. Vediamo se ho capito bene la situazione: ti stai improvvisando detective o paladino della giustizia o qualcosa del genere, e non hai pensato di coinvolgere il tuo adorato fratellone? Pensavo che mi volessi bene, Niall, e invece mi sbagliavo immensamente.» concluse Greg con aria addolorata, portandosi una mano all'altezza del cuore.

Niall lo guardò basito, e riacquistò il dono della parola solo dopo qualche istante di assoluto ammutolimento.

«Mi spaventi» commentò infine.

«Tu non capisci il mio strazio, non puoi comprendere il mio dolore: sono stato escluso dall'operazione caffelatte, dopo tutto quello che ho fatto per te!»

Niall rifletté in silenzio, soppesando la situazione accuratamente, ed esordì: «Se proprio insisti, considerata la nostra condizione di fratellanza, potrei farti partecipare a questa magnifica operazione come mio sottoposto»

«Sarebbe magnifico!» esclamò Greg, d'improvviso rianimato.

«Allora, pronto all'azione, agente Horan?» chiese Niall con fare cospiratorio.

«Signorsì, signore!»




Mentre osservava rapito un piccolo quadrifoglio cresciuto nel vaso dei gerani, Zayn ripensava al pomeriggio trascorso insieme a Niall qualche giorno prima. Il biondo gli era parso un ragazzo gentile, simpatico e vagamente ingenuo, come se fosse rimasto ancora un bambino. Raramente aveva avuto una buona impressione di qualcuno a prima vista, anzi di solito individuava prima i difetti che i pregi delle persone. Eppure, nonostante l'incontestabile candore di Niall, c'era qualcosa che lo frenava dal concedere la sua piena fiducia e dal lasciarsi coinvolgere appieno. Sapeva che avrebbe dovuto impegnarsi per superare i suoi blocchi emotivi, ma la volontà non riusciva ad imporsi sulla sua parte più irrazionale e fuori controllo. La mente iniziò a vagare verso i ricordi sepolti nelle aree più recondite della sua coscienza, quelle che avrebbe voluto cancellare a viva forza, e che invece restavano silenziosamente in attesa di sferrare il prossimo agguato. Ed ecco che irrompevano con la furia devastante di un uragano le immagini vivide della notte in cui aveva rinvenuto il corpo della madre strangolata, con il volto violaceo e gli occhi senza vita, accasciata scomposta sul pavimento della cucina. E di come una voragine lo avesse inghiottito all'improvviso, lasciandolo senza fiato e senza via d'uscita nel buio più profondo che avesse mai potuto immaginare. E gli incubi che lo assalivano ogni volta che si addormentava, e l'odio nei confronti del padre per non aver saputo tenere al sicuro la madre, e l'apatia che gli aveva impedito di affogare nel dolore, allontanandolo però dalle sorelle e dagli amici, e la solitudine, l'odio, la rabbia, la voglia di vendetta. Zayn semplicemente non poteva lasciarsi tutto questo alle spalle. Era consapevole che per liberarsi da questa zavorra avrebbe dovuto chiudere i conti con il passato, rintracciare quel maledetto assassino e avere finalmente giustizia, ma non aveva il coraggio di affrontare il padre e chiedergli di far riaprire le indagini perché sapeva che avrebbe riportato a galla un dolore insostenibile per tutta la famiglia, se stesso compreso. E non si sentiva pronto ad affrontare di nuovo tutto questo.

«Ciao, Zayn».

Impiegò qualche istante prima di rendersi conto che la voce non provenisse dalla sua immaginazione, e a poco a poco riprese contatto con la realtà che lo circondava, il calore del sole sulla pelle, il prato su cui era seduto.

«Doniya!» esclamò vedendo la sorella avvicinarsi verso di lui. Osservandola meglio si accorse tuttavia che aveva un'aria stanca e spossata, i capelli leggermente spettinati e, cosa più preoccupante, una medicazione sul braccio.

«Cos'è successo?» domandò allarmato. La sorella, mortificata, rispose «Ieri sera sono svenuta in un locale e un ragazzo mi ha portata in ospedale. Ora comunque sto bene, non è nulla di grave».

«Ma come in ospedale? Perché non mi hai fatto chiamare?»

«Non mi sembrava il caso di disturbare, mi hanno dimessa poco dopo che ho ripreso conoscenza».

Zayn si passò una mano nei capelli, sospirando rassegnato.

«Sai come si chiama il ragazzo che ti ha soccorsa?» chiese poco dopo.

«Liam Payne, mi ha detto che eravate compagni di scuola».

Il fratello rimase pietrificato, incerto su come reagire a quella notizia.

«È stato molto gentile con me, ha aspettato tutta la notte fino al mio risveglio.» proseguì Doniya «Gli ho anche lasciato il numero di telefono».

«Stai scherzando, spero» reagì Zayn con forse troppa enfasi, che ferì la sorella.

«Perché, ti è mai importato qualcosa dei ragazzi a cui ho lasciato il mio numero in tutti questi anni?» rispose piccata. E, lanciandogli un'occhiata piena di rimprovero, si incamminò verso la villa.




«No, non è fidanzato. Almeno per il momento» ammiccò Louis.

Dopo la misteriosa e prolungata scomparsa di Harry e Louis dalla riunione con le sorelle Calder, Ed era riuscito a conoscerli meglio e a conoscere meglio anche Niall. Aveva buoni presentimenti sul futuro ed era certo che avrebbero formato un'ottima squadra insieme. Era anche impaziente di incontrare Niall, che per gli angeli rappresentava un caso interessante, un'eccezione più unica che rara: aveva la straordinaria capacità di vedere e parlare con i propri angeli custodi. Ed si chiedeva in particolar modo se il ragazzo sarebbe stato in grado di vederlo, e questa sua curiosità era stata un ulteriore incentivo ad accettare l'incarico di supervisore. Trovava inoltre profondamente ingiuste le critiche riguardo l'assegnazione della coscienza di Niall ad Harry e Louis, che la maggior parte degli altri angeli non riteneva adatti al compito: voleva impegnarsi per far ricredere tutti sulle loro capacità e dimostrare la loro idoneità come angeli custodi.

«Direi che è arrivato il momento di tornare da Niall, si starà chiedendo che fine abbiamo fatto» intervenne Harry.

«Sono d'accordo con te» sorrise Ed.

Uscirono dall'edificio, dopo essersi congedati da Eleanor e Christine, e si ritrovarono in un magnifico giardino di nuvole bianche e soffici che ospitava alberi carichi di frutti e fiori di ogni specie e colore, panchine d'edera e altalene appese ai raggi del sole. Al centro del giardino troneggiava l'inizio della Scala Infinita, che collegava il Cielo con la Terra. I tre angeli cominciarono a scendere le scale, investiti da una luce splendente, e arrivarono proprio davanti alla casa di Niall.

«Eccoci» disse Louis allargando le braccia in modo teatrale «Benvenuto a casa Horan».

La coscienza di NiallDove le storie prendono vita. Scoprilo ora