1.
Un'altra mattina, un'altra giornata. Quella sveglia non smette di interrompermi i sogni, non ne posso più. Piacere, mi chiamo Emma e sono una semplice libraria, amo il mio lavoro dato che amo i libri, ed essere circondata da questi non è per niente fastidioso, anche se vorrei fare di più, ma mio padre, adottivo, me lo impedisce. Dice che è pericoloso il suo lavoro, questo lo so, ma io vorrei davvero, davvero fare del bene.
Ancora non capisco perché devo svegliarmi presto, il negozio apre alle 9 ma a quanto pare devo essere dentro due ore prima. Faccio una colazione veloce e svogliata: latte e due biscotti, quanto desidero le ottime brioche di mio padre, potrei provare a farle ma sono pessima a cucinare.Mi vesto normalmente con qualcosa di comodo, a caso, dato che la mia capacità di vestirmi è pari a 0, cioè prendo le prime cose nell'armadio che trovo e le indosso, e mi fiondo fuori dal mio minuscolo appartamento quasi monolocale, l'unico che mi posso permettere. Mi manca il mio adorato pianoforte con cui mi perdevo tra le note di ogni brano. Mentre chiudo a chiave la porta e mentre scendo le scale, non riesco a fare a meno di pensare che oggi succederà qualcosa di speciale, me lo sento, ho come un sesto senso per queste cose.
Sto camminando per le strade di New York, assorta dai miei pensieri deprimenti, quando, plup, una goccia e poi un'altra e un'altra ancora. Ben presto quella leggera pioggerellina primaverile si trasforma in un temporale e pensare che non ho portato l'ombrello perché il meteo aveva previsto un sole scottante, fottuto meteo, adesso che faccio? Mi ritrovo a correre come non mai verso il vicolo con l'entrata di servizio del negozietto per cui lavoro. Appena arrivata mi rifugio sotto la piccola tettoia posta sopra l'ingresso. Cerco quelle maledette chiavi nel mio piccolo zainetto, comodo ma disordinato all'interno. Ancora non ho imparato a riconoscere la chiave giusta e comincio a provarle tutte.
SBANG, salto spaventata da quel rumore assordante che mi ha sorpreso alle spalle, ho quasi sentito la terra tremare. Mi giro lentamente, preparata al peggio, mio padre mi ha insegnato un po' di difesa personale per i casi estremi. Mi trovo davanti un uomo messo veramente male. Il suo viso è ricoperto di tagli ed escoriazioni, la tuta che indossa è a brandelli, ma sotto indossa una canottiera che non lascia intravedere la sua pelle. Noto a malapena il braccio metallico che ha perché mi perdo nei suoi occhi azzurri contornati da dei capelli neri. Lui è spaesato e mi guarda confuso, probabilmente perché credeva che alla sua vista scappassi, ma io non sono così.
Mi avvicino con cautela, cercando di non inciampare nelle chiavi che mi sono cadute per lo spavento, tenendo il contatto visivo, ma lui indietreggia. «ti voglio solo aiutare, vieni dentro che ti aiuto con quelle ferite» lo assicuro indicandogli la porta, voglio aiutarlo, non sembra avere nessuno e spero vivamente che sia dalla parte dei buoni, ma io aiuto tutti. Non parla quindi mi incammino verso l'edificio e gli faccio segno di seguirmi. Accendo le luci dell'edificio e lo faccio accomodare su un divanetto mentre vado a prendere il kit di pronto soccorso. Dovrò aprire il negozio tra due ore e mezza, oggi per colpa della pioggia ho corso quindi sono in anticipo, allora non serve che faccia in fretta. Mi siedo di fianco a lui con un batuffolo impregnato di disinfettante. Lo avvicino al suo viso, il contatto lo fa spostare riluttante, non credo che sia per il bruciore, credo che lo abbia fatto per il motivo che sono un'estranea. Con calma disinfetto tutto ciò che c'è da disinfettare, cercando di non metterlo a disagio. Una volta aver pulito le ferite faccio per alzarmi ma, mentre credevo di aver finito, noto che si stringe una mano nel fianco. «alza quella mano» gli ordino, lui non se lo fa ripetere, anche se è sorpreso dal mio tono, e rivela un taglio molto profondo che comincia a sanguinare più velocemente «per l'angelo, devi farti vedere da un dottore per quello, io non sono così professionale, adesso chiamo un'ambulanza!» infilo la mia mano in tasca per prendere il telefono ma lui mi afferra saldamente il braccio, impedendomi di muoverlo, e scuote la testa. Con lo sguardo mi indica l'ago e il filo dentro il sacchetto sterilizzato che sporgono dalla cassetta con la croce rossa stampata sopra. Oh, no, non ci penso nemmeno «non posso andare in ospedale» mi confida, parlando per la prima volta. La sua voce è roca e suadente. Sospiro e prendo i due aggeggi. Lui si toglie la maglietta mostrando degli addominali da urlo, vorrei contemplarli, ma devo concentrarmi sul compito che mi ha affidato, fidandosi ciecamente delle mie capacità. Mi avvicino e infilo la punta dell'ago nella sua pelle. «io mi chiamo Emma» lo distraggo «Bucky» aggiunge cercando di non far vedere il dolore che gli provoco. Non è in vena di parlare quindi cerco di finire di mettergli i punti il più velocemente possibile. Almeno avevo effettuato un corso di soccorso quando ero alle superiori quindi chiudo la cucitura senza molti problemi.
Gli porto una maglietta pulita, non chiedetemi come sia riuscita a trovare una maglietta, da uomo, della sua taglia, in una libreria: negozio che vende libri, non vestiti, perché neanch'io lo so.«grazie» mi sorprende lui «prego, a proposito...non mi interessa sapere perché sei conciato così, però se vuoi puoi restare qui per tutto il tempo che ti ser...» non faccio in tempo a finire la frase che i cardini della porta da cui siamo entrati si spezzano e quest'ultima cade a terra spezzata a metà, scagliando pezzi di legno dappertutto da cui Bucky prontamente mi protegge, coprendomi per farmi da scudo. Eppure ci siamo conosciuti, se così si può dire, da poco. Si gira di scatto pronto a colpire la minaccia ma intravede dietro l'ingresso il famigerato Capitan America con il suo sgargiante scudo «cosa ne avete fatto di Bucky!...ah no, sta bene, cosa credevi di fare? Siamo nel mezzo di una guerra civile e ti rifugi da una sconosciuta?» lo rimprovera il suo amico «mi ha aiutato, non ha paura di me» gli risponde il ragazzo che ho aiutato abbassando la testa con tono sorpreso «beh, dobbiamo andarcene, il jet è pronto» «deve venire con noi, Stark potrebbe avermi rintracciato fino a qua e lei finirebbe nei guai, io mi fido di Emma» cosa? Dovrei andare con loro? Non che mi dispiaccia ma ho un lavoro e...«E poi tu chi saresti?» esclama il supereroe interrompendo i miei pensieri, rivolgendosi a me «Emma» gli rispondo ovvia «devo sapere il cognome» mi impone con uno sguardo che non mi lascia ribattere. ...odio dire il mio cognome, soprattutto a persone che lo potrebbero riconoscere... «Emma Coulson»
spazio autrice
Partiamo col presupposto che non sono brava a scrivere storie, ma ero in vena creativa e volevo provare a scrivere tutto quello che mi passa per la testa. Che ne pensate di questo brevissimo e orribile capitolo? Perfavore commentate e ditemi quello che ne pensate, magari anche qualche idea per il continuo se ne avete.
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Ti Perdono James
Fanfictionpremessa: non sono brava a scrivere ma mi piace farlo. La vita di Emma, in una normale, noiosa e monotona giornata, cambia completamente. Emma sarà la salvata o la salvatrice? Ovviamente tutti i personaggi della marvel sono della Marvel, gli altri p...