un nuovo inizio?

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«Steve vattene, non è giornata» borbotto al mio migliore amico che come sempre è venuto a rompermi le scatole, per ricordarmi come quasi tutti i giorni che devo voltare pagina. Non mi giro neppure verso colui che almeno cerca di starmi accanto ogni giorno, ad ogni ora. Continuo a guardare fuori dalla finestra in cerca di un po’ di tranquillità e spensieratezza. Senza un punto in particolare da guardare, ma solo il fatto di guardare qualcosa, di svuotare la mente, di pensare meno. Oggi è un anno preciso da quel mio stupido e gravissimo errore che ho commesso. Oggi è un anno che non ce l’ho più a fianco. Mi ripassano davanti alla mente le immagini di quel giorno. La squadra di soccorso che corre verso di me, di noi. La tirano su in braccio e me la strappano via. Non riesco neanche a ribellarmi e  nemmeno posso, Steve mi trattiene. La sua pelle che impallidisce ogni secondo di più, gli occhi chiusi, quasi come se fosse bloccata in un sonno profondo. Il suo braccio che le pende di fianco mentre viene portata via d’urgenza in braccio a uno dei quattro agenti mentre altri due cercano di percepirne i segni vitali. Cosa che ormai non c’è più. Ma sembrano  spinti da qualche piccola speranza. I due dottori la guardano disperati come se la conoscessero. Sembra che si scambiano una qualche intesa con gli sguardi, sicuri di qualche decisione e accelerano la loro corsa verso il loro Jet. Mettendola su una barella. Quella è l’ultima volta che l’ho vista: inerme su una barella. Scrollo le spalle per ritornare nella realtà e mi rendo conto che non ho sentito la porta richiudersi «Ho detto VATTENE» urlo buttando fuori quanta più rabbia possibile, verso me stesso e verso tutto. «James» sussurra. Mi volto di scatto, quella voce la riconoscerei tra milioni, Lei. Con i suoi soliti pantaloni larghi e la sua solita maglietta oversize con le sue solite stampe ironiche provenienti dai suoi libri. É ancora più bella e angelica di quanto mi ricordavo, sembra quasi che infonda un’aurea attorno a se «E...Emma?» singhiozzo cadendo a terra «non sei reale, non sei reale,non sei reale» mi ripeto come un mantra, stringendomi i capelli tra le dita quasi per strapparmeli, per far uscire i pensieri dalla mia testa, per sfogarmi con il dolore, per distrarmi. Ormai sono diventati lunghi, come la barba, non ho neppure la forza di curare il mio aspetto. Le sue apparizzioni credevo di averle passate da un po’ di tempo, eppure non si erano mai presentate così nitide e verosimili. Probabilmente la mia mente sta peggiorando, oppure me ne sto andando, finalmente. Si avvicina lentamente, quasi intimorita, mi si inginocchia davanti e mi abbraccia. Profuma proprio come me lo ricordavo. La sua figura combacia con la mia, è troppo reale, sono morto, di sicuro. Trattengo il respiro e rilutto sul ricambiare questo contatto «James, sono io» mi ripete. La sua voce, la sua maledettissima e soave voce che si era affievolita nella mia testa con il tempo. Ok, sono morto, tanto vale ricambiare l’abbraccio e godermi ogni attimo di questo ricongiungimento. Affondo il mio viso nella sua spalla  «chissà come reagirà Steve» penso ad alta voce, pensando al mio caro amico che ritroverà il mio corpo senza vita in camera nel suo solito controllo giornaliero «hai trovato i tuoi genitori?» aggiungo pensieroso «di cosa stai parlando? loro sono morti» mi domanda leggermente confusa allontanandosi quanto basta per guardarmi in faccia come se guardasse direttamente nella mia anima. « come lo sei tu, e adesso anche io. Allora, com’è l’aldilà? Quale religione ha ragione?» scherzo leggermente, sarcasmo che lei non percepisce «no, tu sei vivo» «ma tu no» sbotto innervosito. «invece sì» «no, sei morta tra le mie braccia, per colpa mia!» le ricordo sentendo una lacrima ribelle scappare dal mio occhio «primo: ti ho già detto che non è  stata colpa tua; secondo: è difficile da spiegare ma adesso sono qua, in carne e ossa» cerca di assicurami. Ma dopo tutto il tempo che siamo stati lontani non do molta importanza ai dettagli e non continuo la conversazione. Mi prende il viso tra le sue mani calde e morbide, obbligandomi a guardarla negli occhi, cosa che avevo smesso di fare spostando la mia attenzione sul pavimento che era diventato particolarmente interessante. «mi sei mancato» «anche tu» le confesso prima di baciarla, bisognoso di quel contatto e nostalgico di lei. 

Dopo esserci contemplati a lungo stando in silenzio, il quale non era per niente imbarazzante, ma il contrario: il silenzio in momenti come questi parla di più delle parole, anche con termini che quest’ultime non conoscono, le pongo la fatidica domanda che continuava a ronzarmi in testa «gli altri....lo sapevano?» «no, devo ancora dirglielo, ma prima voglio passare del tempo con te» «e se scappassimo?» propongo con l’adrenalina a mille, annebbiato dalla semplice idea di un’avventura con la persona che amo di più, che mi è mancata come l’aria «cosa?» «e se scappassimo via, solo noi due, per un po' di tempo, insieme» espongo meglio la mia idea «e dove?» cerca di capirne di più ma ho notato la scintilla che le è passata davanti agli occhi «ho una casa, la mia casa di infanzia, potremmo rifugiarci là ed è relativamente vicina alla spiaggia...» «ci sto, se a te va bene» mi interrompe emozionata «davvero?» richiedo illuminandomi «ovvio, siamo stati separati per troppo tempo e ci meritiamo una vacanza. Lo dovremmo nascondere?» «ovvio, sarà un po’ complicato con Steve, ma vale la pena provarci» Riempio velocemente una borsa e scrivo un rapido biglietto che lascio sul letto. Sistemo velocemente il casino che si è creato, infilo la mia amata giacca in pelle e metto sulla schiena il borsone «miss coulson, una moto ci aspetta» un sorriso le riempie il viso  e ridacchia in modo cristallino «con le telecamere?» mi accerto «ci ho già pensato io, ma dobbiamo muoverci» mi avverte. Le afferro una mano e mi segue fino al garage. Abbiamo fatto il giro più lungo e appartato, per evitare incontri indesiderati. Nell’enorme stanza la mia amata Harley- Davidson è tutta impolverata, ma ci metto pochi secondi con uno straccio a farle ritornare il suo luccichio. Ammetto di averla trascurata anche troppo e mi dispiace, ma mi portava troppi ricordi spiacevoli. Le due tute sono sempre nello stesso punto ed Emma le vede, quindi prende la sua e si cambia proprio come l’ultima volta. «mi racconterai tutto?» le chiedo incerto porgendole il casco «te lo prometto» mi assicura afferandolo. Saliamo nella sella e mi perdo in un deja vu, con il ruggito della mia moto e la libertà nelle vene.

Allora gente, un piccolo ritorno. Potrebbe essere l'inizio di una seconda parte, ma non ho in programma di scriverla. Potrebbe essere uno spunto per le vostre libere menti sul rispondere a varie domande sorte in questo capitolo, ma per lo meno è qualcosa. Spero vi sia piaciuto e arrivederci.

Ti Perdono JamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora