✒8 - L'ora dell'addio - seconda parte (Oliver)

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... seconda parte

L'appartamento dove ho trascorso gli ultimi due anni della mia vita è tornato a essere anonimo come lo avevo trovato al mio arrivo. Altri affittuari vivranno queste quattro mura, altre vite si consumeranno e del mio passaggio non rimarrà traccia.

Non ho mai considerato questo posto come casa perché è un concetto che non mi appartiene. Piuttosto è stato un rifugio, un luogo dove poter rintanarmi e pensare, lontano dal rumore degli altri. Quando rientrerò negli Stati Uniti, mi trasferirò da Steve a Sausalito, in attesa di capire che cosa fare della mia esistenza.

Non so ancora quale sia il mio posto nel mondo né tantomeno se io ne abbia uno; nomade di vocazione e senza radici per nascita, so solo che San Francisco è il mio habitat naturale a cui non rinuncerò se non per pochi mesi.

Steve mi ha spinto a compiere questo passo e, come sempre, mi ha aiutato a trovare il coraggio che mi mancava e i mezzi necessari per farlo. Sabato scorso mi è venuto a trovare qui, cibo cinese d'asporto, un paio di birre e molti silenzi carichi di domande. Infine si è deciso a parlare e mi ha chiesto quale fosse la mia più grande paura; gli ho risposto che non so come reagirò sentendo dalla bocca di lei ciò che già so. Papà, allora, mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha messo in mano un biglietto aereo per Firenze. "È ora di scoprirlo, ragazzo" mi ha solo detto, dandomi un buffetto affettuoso. Mi ha lasciato spiazzato: Steve mi conosce più di chiunque altro e sa che avrei indugiato per chissà quante settimane prima di decidermi.

Senza più scuse dietro alle quali nascondermi, mi sono ritrovato di fronte a me stesso, conscio della mia fragilità ma pronto a usarla come risorsa e non come limite. La rabbia è ancora molta dentro di me, pari solo al dolore, ma dovrò mantenermi lucido se voglio perseguire il mio scopo che non si riduce alla mera conoscenza dei fatti. Io voglio che lei si renda conto delle sue responsabilità e del peso che le sue azioni hanno avuto su di me, voglio che comprenda quanto male mi ha fatto e non importa quale sarà la sua reazione nei miei confronti: io saprò che lei non potrà più ignorare chi è, io saprò che lei non potrà più ignorare chi sono.

"Oliver... Oliver, ci sei?"

La voce di Mei mi arriva come una carezza inaspettata, richiamandomi dai miei pensieri. Apro la porta e la ritrovo sull'uscio ma questa volta non entra, aspetta che sia io a invitarla. Gironzola per il salotto, torturandosi le mani da bambina e lanciando sguardi furtivi alle mie poche cose accatastate all'ingresso.

"Steve passerà nei prossimi giorni a ritirarle. Non sono molte, come puoi vedere."

Lei fa un cenno col capo, barricandosi dietro al mutismo, unico mezzo per non lasciarsi andare all'emozione.

"Ho incrociato tuo marito per le scale. Non mi aspettavo che venissi a salutarmi. Grazie."

Nella mia voce non c'è astio o recriminazione ma solo gioia nel constatare che ha trovato un attimo per noi, nonostante tutto e tutti.

"Ieri sera mi ha detto che è tornato per restare, ha inoltrato domanda di congedo definitivo dall'esercito" sussurra lei. "Adesso potrà godersi finalmente i suoi figli."

"E sua moglie..." aggiungo io con un mezzo sorriso.

Mi indirizza un finto sguardo di rimprovero. "Oh, Oliver, spesso ho pensato che tu fossi solo un sogno creato dalla mia mente per evadere dalla routine! Sai quante mattine mi sono alzata chiedendomi se la sera prima fossimo stati insieme sul serio?"

"Invece tu, per me, eri l'unica cosa reale."

Mei ammutolisce. Lacrime silenziose solcano le sue guance, bagnando le piccole labbra increspate in una smorfia che a stento trattiene la malinconia che proviamo entrambi.

"Voglio che tu sappia che non è stato solo sesso. All'inizio, è vero, la chimica tra di noi, il cercare il corpo l'uno dell'altra senza mai essere sazi ha avuto la meglio, ma col passare dei mesi io ho capito che c'era di più. Non sono mai stata in grado di inquadrare il nostro rapporto perché la verità è che nessuna etichetta può descrivere quello che abbiamo vissuto. Né amanti, né amici, allo stesso tempo entrambe le cose, io so solo che mi piaceva ascoltare le vicende dei personaggi strampalati di cui scrivevi, adoravo vedere l'entusiasmo genuino sul tuo volto quando mi raccontavi la tua giornata passata alla ricerca di una nuova storia da raccontare e quanta pace trovavo nell'addormentarmi sul tuo petto, mentre mi accarezzavi la schiena e mi scostavi i capelli dal viso con un bacio! Per quello che vale, io ti ho voluto bene davvero e per sempre te ne vorrò..." mormora con un filo di voce.

La cingo con un braccio e rimaniamo vicini, seduti per terra tra le poche scatole di cartone che racchiudono la mia vita, ad ascoltare le nostre fantasie che non hanno avuto il coraggio di trasformarsi in realtà. Hanno il suono di promesse mai pronunciate, del pianto di bambini mai nati, delle risate di una famiglia mai costruita.

Tutto si ferma perché il tempo trascorre lento nell'ora dell'addio. Non c'è più la frenesia di arrivare all'amplesso, di prendersi al volo come se qualcuno ci corresse dietro. Noi siamo immobili e, forse, per la prima volta presenti nella vita l'una dell'altro nello stesso momento perché ciò che poteva essere non lo abbiamo voluto.

IL SILENZIO DEI RICORDIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora