CAPITOLO 19 - Jackson

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<<Sei la vergogna di questa famiglia, ragazzino viziato!>>

Il mio rifugio personale per scappare dalla realtà è sempre stato sotto l'immenso tavolo della sala da pranzo, con le ginocchia portate al petto; come sempre, anche ora cerco invano di soffocare i singhiozzi e fermare le lacrime. Le parole di mio padre riempiono qualsiasi stanza della casa con la sua voce baritonale, facendomi sobbalzare ad ogni sillaba.

Non sono ancora riuscito a capire il motivo per cui non mi voglia, per cui mi rivolga sempre sguardi di disprezzo e non sopporti la mia presenza per più di cinque secondi senza rinfacciarmi quanto io sia stata la sua rovina.

Che ho fatto di sbagliato? Vorrei tanto la mia mamma, vorrei che mi abbracciasse forte e mi dicesse che andrà tutto bene.

Ma io non ce l'ho una mamma; ho visto una sua foto in una vecchia fotografia che ho trovato una sera mentre rovistavo in soffitta, in un grande scatolone coperto di polvere.
A stento ricordo il suo viso, è stata l'unica volta che ho potuto vederla, perchè non ho più ritrovato quelle foto. Quell'istantanea la ritraeva con un pancione enorme in cui immagino fosse in attesa di me.

L'unica cosa che ricordo, è che i suoi occhi blu erano bellissimi. Credo di averli ereditati da lei.

Vorrei tanto l'amore della mia mamma, penso che me ne avrebbe dato se fosse stata qui.

Io non so cosa sia l'amore.

Mi guardo allo specchio con lo stesso disprezzo che mi ha sempre riservato mio padre sin da bambino: ho imparato ad odiarmi tanto quanto lui, e quel riflesso mi fa ribrezzo.

Sono un coglione egoista che non si cura di nessuno, e la moretta che si sta rivestendo in questo momento nella mia stanza è l'ennesima prova di quanto io rinneghi tutto ciò che può essere collegato all'affetto.

Mi scopo le donne e poi le butto via, le uso per soddisfare i miei bisogni e calmare quella rabbia che si è accesa in me da tanto tempo e non mi ha più abbandonato.

La mia migliore amica, che mi accompagna quasi in ogni momento della giornata, insieme alla frustrazione e all'odio per il prossimo come per me stesso.

Mi sono sempre sentito sbagliato, ma quando fotto una donna, i suoi gemiti di piacere che gridano il mio nome godendo come una disperata, mi fanno convincere che in questo sono l'uomo giusto.

Non ho mai avuto legami, nè ho intenzione di averne mai; non mi servono, e non voglio condividere una fetta del dolore che porto sulle spalle con nessuno, nessuno capirebbe.

Il mio cuore vuoto e arido non è capace di ospitare nessuno.

Ma da qualche tempo, sto combattendo una battaglia che non credevo possibile, da quando ho incontrato Camila.

Cazzo, se è bella.

I suoi occhi azzurri mi ricordano il cielo senza nuvole nei caldi giorni d'estate, i suoi capelli corvini lisci come la seta profumano di vaniglia.

Non riesco più a togliermela dalla testa, è quasi come un ossessione. Vederla oggi in compagnia di quello sfigato, mi ha fatto provare un senso di rabbia mai provato prima.

Il mio cuore sta facendo a cazzotti con il mio cervello, le vene del mio collo sono ingrossate e pienamente visibili; non voglio condividerla con nessuno.

Le ho rubato l'innocenza, la sua anima pura è stata imbrattata dalla mia oscurità, e ho ferito il suo orgoglio facendo più male a me stesso che a lei.

Nel profondo, forse, stavo cercando di salvaguardarla, di proteggerla da me e dal mostro che ormai fa parte del mio essere, che rovina e distrugge tutto ciò che tocca.

Ma in questa dura lotta, il desiderio che ho di lei mi entra nelle viscere e non mi lascia in pace, mi riempie di pensieri sporchi di tutto quello che vorrei farle, delle sensazioni che vorrei farle provare, dell'eccitazione che mi travolge nel saperla godendo tra le mie braccia come solo io sarei in grado di fare.

La sua poca esperienza mi fa tenerezza, mi ricorda che al mondo non esistono solo i bastardi come me e le persone che mi hanno sempre circondato.

Sono ricaduto un'altra volta nel turbinio di alcol, sesso e droga, senza riuscire più a farne a meno; ho trascurato gli studi all'università e sfogo la mia frustrazione ogni notte con una donna diversa, dopo essermi scolato una bottiglia di qualcosa e aver riempito qualche fica del mio seme caldo.

Dormo così poco che le occhiaie mi arrivano fino alle ginocchia.

Guardami adesso, papà, sei fiero dell'uomo che hai tirato sù?

<<Ci vediamo, bello>>
La mora di cui non conosco il nome lascia la stanza con queste uniche parole, con le guance arrossate e i capelli arruffati da post orgasmo, con aria soddisfatta.

Mi riscuote dai miei pensieri e ciò che mi farebbe bene ora è una bella doccia, che mi precipito a fare per togliermi l'odore di sesso di cui la mia pelle è impregnata.

Con ancora l'asciugamano legato in vita, afferro dal pavimento una bottiglia di vodka liscia e faccio due lunghi sorsi, e mi siedo nel letto.

Poggio i gomiti sulle ginocchia e mi prendo la testa fra le mani, stringendo forte, come se causarmi quel dolore potesse cancellare quello che provo dentro di me da sempre.

Non c'è soluzione, non c'è rimedio alla mia anima dannata, nessuno può salvarmi e io non riesco a salvarmi da solo, condannandomi così ad una vita vuota e priva di senso.

Porterò questo peso con me finché non mi farà così male da schiacciarmi del tutto, e sarà allora che finirà la mia agonia.

Fino ad allora, rimarrò un diavolo senza possibilità di uscire dall'inferno che si è creato con le sue stesse mani.

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