III. LIVING

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\ - 25 giorni \

e non ti voglio se non sei convinta di volermi bene, però ti voglio perché senza te io bene non ci sto

▶️Pillole, Ariete

L'altezza è sempre stata una delle mie paure più grandi.

Anche da giovane, quando andavo con mio fratello a fare trekking in montagna, una volta arrivati nei pressi della cima mi fermavo di colpo, mi sedevo su una roccia e da lì non mi muovevo più. Ero talmente testarda che mio fratello si vedeva costretto a procedere da solo, fino alla cima e ritorno. E quando tornava con la sua solita espressione frustrata, non diceva una parola: mi scoccava solo una fredda occhiata, e io capivo che dovevo limitarmi a seguirlo, rimanendo in silenzio e cercando di fare meno rumore possibile.

Gabriel sapeva della mia paura, come di tutte le altre del resto, eppure ogni volta che entravamo nel discorso non riusciva mai a comprendermi a fondo. Lui amava la montagna, e per lui era sinonimo di adrenalina, di stupore, di brividi, di altitudine. Tutte cose che io tollererei, si, se solo l'ultima fosse esclusa.

A chi teme l'altezza, viene sempre detto di non guardare giù per nessun motivo al mondo.

Sì, è semplice leggerlo nei siti che forniscono consigli dettagliati per ogni situazione, ma una volta che si è lì sopra? Che succede nella mente?

Quella curiosità irrefrenabile di abbassare lo sguardo anche solo di un centimetro, giusto per soddisfarla parzialmente, è inevitabile, e dopo intense lotte interiori ci si ritrova a guardare giù, soltanto per un secondo.

È proprio in quel misero istante, che ti giochi tutto.

Ti giochi la stabilità mentale, ti giochi l'equilibrio, ti giochi la possibilità di rimanere ancorato saldamente al terreno. Senti come se la terra dapprima tremasse sotto ai tuoi piedi e poi cessasse di esistere, vieni inglobato nell'oscurità, ti senti sprofondare, non vedi niente a cui aggrapparti. Ti guardi intorno perso, mentre continui a precipitare nel vuoto, sei totalmente impotente e cerchi anche solo un flebile ramoscello che ti dia sostegno. Quel caotico buio ti ingloba, mentre continui a cadere sempre più giù, sempre più giù, sempre più in fondo.

Finché, d'un tratto, l'illusione svanisce.

Prendi un respiro profondo, concentrandoti unicamente su quello, e riapri lentamente gli occhi. Ti accorgi che non è successo nulla, che il vuoto era soltanto un subdolo gioco orchestrato dalla tua mente, che automaticamente ti induce a non voler più sentir parlare dell'altezza per sempre.

Eppure ora eccomi qui, a bordo di un elicottero che sta salendo sempre di più, con un ingombrante paracadute agganciato sulla schiena e le unghie ormai tutte rosicchiate a causa del nervosismo che si sta pericolosamente espandendo in me.

<<Stai bene?>>domanda Charles, seduto al mio fianco, facendosi impercettibilmente più vicino a me.

<<Ti sembra?>>sbotto, il tono di voce aggressivo dettato dalla smisurata tensione. Sento che Charles sogghigna, e nel frattempo mi rifila una giocosa spallata. Lo fulmino con lo sguardo, poi torno a martoriare l'unica unghia ancora rimasta in condizioni decenti e distruggo anche quella.

<<Il segreto è non guardare giù.>>mi schernisce Charles, senza mai smettere di ridere, pronunciando la frase come se stesse citando un discorso pronunciato da altri.

Questa volta è il mio turno di rifilargli una potente spallata, che lo fa traballare leggermente ma che non lo fa smettere di ridere, anzi il contrario.

<<Abbiamo raggiunto l'altezza giusta.>>ci avvisa il pilota dell'elicottero, mentre schiaccia freneticamente qualche pulsante a me ignoto. Poco dopo, il velivolo si ferma.

TIME//Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora