3. PAIN

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\ + 17 giorni \

no one will win this time
I just want you back

▶️Surrender, Natalie Taylor


Le pareti dello studio in cui mi ritrovo sono quasi interamente ricoperte da quadri colorati, che tanto stonano con l'atmosfera angosciante che aleggia nella stanza. Se non fosse per le luci sul soffitto che mi abbagliano, affermerei tranquillamente di essere in un sogno.

Il lettino su cui sono sdraiata è eccessivamente piccolo e scomodo, o forse sono i dolori acuti che sento in tutto il corpo a farmelo apparire tale.

Ma più forte di ogni altro è il dolore che sento nell'addome. Mi sento come se ad ogni battito cardiaco mi venisse gettato addosso un peso di un centinaio di chili, ripetutamente, a ritmo, senza fermarsi.

<<Signorina, abbiamo i risultati delle analisi. Ma prima devo farle una domanda.>>mi fa sapere una voce maschile, che a primo impatto credo sia quella del medico. Quando apro leggermente gli occhi e scorgo una figura accanto a me con una cartellina in mano e un camice bianco addosso, ne ho l'evidente conferma.<<Di recente ha subito un trauma grave?>>mi chiede poi.

Nelle ultime ore credo di aver preso talmente tanti tranquillanti che mi sembra davvero di star sognando, o almeno è l'unica spiegazione che riesco a dare a questo mio stato confusionale. E credo anche di essermi immaginata le parole del medico, ma quando il medico mormora un "sia sincera", non ho più dubbi sul fatto che siano reali.

Annuisco impercettibilmente, data la poca forza che ho in corpo in questo momento, mentre sussurro debolmente:<<Si>>

<<Di che tipo?>>

Rimango in silenzio.

Sono sempre stata contraria al raccontare la mia vita ad un perfetto estraneo, motivo per cui non ho mai sentito l'esigenza di recarmi da uno psicologo, e sebbene al momento non sia totalmente lucida il mio pensiero non cambia. Questo dottore, per quanto possa essere gentile e disponibile e zelante, è un completo estraneo per me, e nemmeno in queste condizioni mi sento di tradire i miei princìpi.

Dunque mi limito a stare in silenzio, oppressa e agitata sotto lo sguardo insistente del medico.

<<Signorina, ho bisogno che mi dica tutto ciò che si ricorda, al fine di stilare una relazione più completa possibile. Le lascio un quarto d'ora per riprendersi, poi ricominciamo con le domande. Non si addormenti per cortesia, e non pensi tanto: mi viene già difficile così gestirla.>>si raccomanda, con un sorriso rassicurante e un cordiale occhiolino, prima di sparire dietro ad una tenda verde che prima non avevo notato.

Effettivamente faccio come mi ha ordinato il medico, e mi limito a stare sdraiata a pancia in su con gli occhi chiusi, ma senza pensare. Cerco di rilassarmi il più possibile, di non rimuginare troppo, di trovare qualcosa di positivo in tutto ciò. Senza risultati, purtroppo.

Quando il dottore torna da me non mi sento ancora pronta per raccontargli tutto l'accaduto, eppure paradossalmente lo faccio, perché in fondo non ho più le forze per combattere contro la realtà. Gli racconto dell'incidente di Charles, degli attimi e dei giorni che ne sono seguiti e dei sentimenti che ho provato, una rabbia immensa mista ad una profonda delusione per come sono andati i fatti.

Mi chiedo tutti i giorni perché, perché proprio a lui e non a me, perché doveva succedere una cosa tanto brutta ad una persona come lui, perché non sarebbe potuto accadere a me, che non ho sempre mantenuto un buon comportamento. Ma la vita è ingiusta, e ci pone davanti certi quesiti per poi impedirci di dar loro una risposta, una spiegazione logica, un senso. E noi non possiamo fare altro che aspettare che il tempo ci dia tutti gli strumenti utili per formulare delle tesi, per risolvere finalmente quel maledetto puzzle che avevamo lasciato a metà per mancanza di pezzi.

TIME//Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora