3. The interview

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La sveglia di Louis suonò puntuale alle 06:30, con una simpatica manata il ragazzo riuscì a spegnerla.

Si alzò con un balzo, lanciando le lenzuola ai piedi del letto senza preoccuparsi di sistemarle.

Uscì dalla camera fischiettando e si diresse in cucina, lasciò cadere i chicchi tritati di caffè nella moca , mettendola sul fuoco, aspettò che salisse.

Nel frattempo andò in bagno, dove si lavò la faccia e si cambiò: skinny jeans, una felpa larga e le sue solite vans ai piedi.

Ritornò in cucina e recuperò una tazzina dalla lavastoviglie per poi versarsi del caffè caldo, denso e nero, come un angoscioso lago di acqua scura, piatto e indisturbato .

Lo bevve davanti alla finestra, guardando il sole sorgere in lontananza e sentendo i caldi raggi iniziare a coccolargli il viso con tiepide carezze.

Prese tutte le sue cose, solo dopo aver lavato la tazza e il filtro della moca, e si incamminò in ufficio verso le 07:15.

Nel pomeriggio sapeva sarebbe arrivato Liam e aveva intenzione di andare a prenderlo all'aeroporto, ma prima doveva concentrarsi sul lavoro: aveva in programma un'importantissima intervista con uno degli artisti più emergenti del momento e non poteva assolutamente tardarvi; afferrò la sua cartellina e rapidamente si avviò verso il suo ufficio.

Il palazzo del giornale in cui lavorava non distava molto da casa sua e, ringraziando anche il clima favorevole di Los Angeles, poteva permettersi di godersi la fresca brezza mattutina in una breve passeggiata mentre i rumori dei primi motori lo accompagnavano per le strade.

L'aria profumava di caldo e luce, diffondeva onde lamda, che si aggrappavano alle molecole di ossigeno come degli uncini, diffondendo afa. 

*

Harry si alzò con tutta calma, in tarda mattinata si sarebbe diretto nello studio di uno dei giornali più venduti del paese e, se doveva essere sincero, era piuttosto in ansia.

Scendendo dal letto, la prima cosa che fece fu posizionare l'ago del suo giradischi sul vinile dei Beatles e iniziare a vestirsi. 

Muovendo le anche a tempo di musica danzò verso il suo armadio.

Si posizionò di fronte al suo enorme specchio e con una lentezza incredibile provò diversi capi da indossare per l'intervista.

Era da un po' che non ne rilasciava e voleva fare bella figura.

Alla fine concluse col decidere una semplice camicia bianca, sbottonata sul collo, degli skinny jeans neri, un giaccone di pelle e degli stivaletti dello stesso colore della giacca.

Si diede un'ultima occhiata, rimboccandosi di poco le maniche della camicia e dandosi una sistemata ai capelli, annuendo convinto, poi uscì dalla camera.

Una volta pronto si diresse fuori casa, sbloccò la serratura della macchina e si buttò sul posto da guidatore, facendo rimbalzare leggermente il veicolo.

Guidò all'incirca per venti minuti, non era di fretta e girava piano per le strade, era curioso come quella città non l'annoiasse mai: si guardò intorno, ammaliato dalla città in cui era cresciuto, che ogni giorno gli riservava nuove sorprese, nuove emozioni e nuove avventure. La città era una fonte di ispirazione per lui, quando non riusciva a concentrarsi andava in spiaggia e la penna iniziava a scrivere da sola sulla carta, guidata dalle sue lunghe dita tappezzate di anelli, creando sinuosi solchi di inchiostro. 

Sin da quando era bambino aveva utilizzato la musica come un rifugio, quando qualcosa non andava, se lo prendevano in giro a scuola o i suoi genitori litigavano alzando troppo il volume della voce, lui semplicemente si nascondeva nella sua piccola cameretta, si faceva proteggere dalle morbide braccia del suo orsetto di peluche e si metteva a strimpellare con la pianola che gli avevano regalato per il suo sesto compleanno. 

Cause you were the rainbow but I see in black and whiteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora