capitolo uno

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L'oscurità della notte andava via via diradandosi e il pallido chiarore mattutino si spiegava come intorpidito su un frastagliato orizzonte.

Anni, anni in cui i suoi occhi scuri e stanchi avevano colto, avidi, baluginii fiochi e tremolanti incapaci di soddisfare la sua fame. Quello delle stelle, fredde e lontane e della luna perlacea in capo ad esse.

Non v'era tepore nel loro essere che potesse scaldarlo come un tempo il sole che, immaginò, s'era scordato i contorni del suo volto così come lui i sospiri infuocati dei pomeriggi estivi ormai annebbiati.

Rannicchiato con le ginocchia al petto su uno sperone roccioso ai piedi del monte, Aleksandar osservava il primo accenno d'alba coi pugni chiusi uno nell'altro a coprirgli la bocca esangue. Aveva lo sguardo cerchiato e offuscato di ricordi, le spalle tese sotto il soffice mantello bordeaux. La mancanza di riposo gli appesantiva le palpebre sferzate dal gelido vento di fine dicembre, ma ciò non piegava in lui il desiderio di assistere al sole che faceva capolino tra i monti con sfacciata pigrizia.

«Muovi il culo Markov, conosci le regole».

In tutta risposta il ventiduenne rimase immobile, non dando segno d'averlo sentito.

«Va bene, poi vai a frignare da qualcun altro se ti sospendono, mi sono fracassato di doverti coprire di continuo. Hai la furbizia di una mosca riguardo a certi argomenti, Cristo santo»

«Non farti saltare i bottoni, rischi l'andropausa precoce».

Il compagno ebbe la decenza di alzare il medio con innata prontezza mentre Aleksandar, rimessosi in piedi, si sfregava gli occhi privo di verve.

Calarsi nel primo andito e poi negli altri a seguire fu, per entrambi, facile come respirare. Procedevano svelti e silenziosi mentre col loro avanzare i passaggi si ampliavano in un crescendo che raggiungeva l'apice col Salone Principale. Superarono il primo livello, una grande sala destinata al primo soccorso e quella più vicina all'entrata per ordine d'emergenza, percorrendo un lungo corridoio in discesa.

«Ci sei a pranzo?»

«Se non tiro le cuoia prima, sì» proferì il moro con aria lugubre.

«Ti faciliterò il trapasso quando verrà la tua ora, non temere. Ripesco la Weiss dopo i corsi e ti raggiungiamo» si riversarono nell'atrio e Jed venne risucchiato dalla folla quasi contemporaneamente. Lui, invece, corrucciò la fronte e interruppe l'andatura, dando ai suoi occhi il tempo di abituarsi al cambiamento di luce. Il secondo livello, a differenza dell'altro, contava centinaia di fiaccole ardenti e altrettante voci che alimentavano un chiasso continuo. Comprendeva, infatti, i dormitori, divisi in quattro ale per fasce d'età e disposti in corrispondenza dei punti cardinali. Ognuna di esse si affacciava sull'atrio tramite portoni in legno che portavano il nome dei venti spiranti nelle rispettive direzioni. E poi il salone principale, preso d'assalto durante pasti o comunicazioni ufficiali, era strategicamente situato a formare una bolla centrale comunicante con le quattro ale per mezzo di un ennesimo corridoio, il più claustrofobico.

I turni di guardia erano ripartiti in due fasce orarie: la prima iniziava allo scoccare delle ventidue e finiva alle due del mattino, minuto in cui partiva la seconda che si concludeva con l'alba. Gli studenti della prima fascia iniziavano le lezioni alle nove , mentre gli altri dopo l'ora di pranzo e per entrambi i gruppi erano previsti allenamenti serali nella sala del quarto piano, settore meridionale.

La fregatura era che la seconda fascia oraria toccava sempre ai ragazzi di età compresa tra i diciotto e i ventidue anni, la sua, poiché le ale dai sette ai tredici anni e quella dai tredici ai diciassette erano ritenute "precoci da esporre sul campo", mentre l'ultima delle quattro " impegnata al congedo". In cosa consistesse quest'ultimo, Aleksandar non lo sapeva.

Inoltre, durante l'istruzione post abbuffata che spesso coincideva con la colazione anziché col pranzo, i portoni venivano sigillati attivando meccanismi che sembravano semplici intarsi.

Tutto ciò, a detta di insegnanti e direttori, per scoraggiare i ragazzi ad assentarsi da preziose ore di lezione a favore di qualche dolce ora di sonno in più. Venire blindato come un topo in gabbia nonché successivamente sanzionato per le infondate assenze, sarebbero dovute essere motivi più che validi per trascinarsi nelle rispettive classi. Tuttavia, soprattutto a chi contava anni di servizio e un briciolo d'amor proprio, l'idea non pareva poi così raccapricciante.

Aleksandar si era ritrovato nella suddetta situazione quattro mesi addietro, quando la sveglia non era suonata e lui, accortosi del fatto allo scoccare delle tre e trentasette del pomeriggio, si era rigirato supino e aveva tirato dritto sulla rotta del "dormire senza colpo ferire", che l'aveva intrattenuto fino a cena. Una volta sbloccate le porte ne era uscito fresco e rinvigorito come dopo una doccia nel bel mezzo di un caldo pomeriggio estivo.

Sulle parole del direttore riguardo la sua uscita aveva saggiamente glissato, limitandosi ad un sorriso d'insulto e un cenno di capo: «Visto il riposo accumulato, non ti spiacerà certo prendere parte anche ai turni di guardia delle ventidue, vero Markov? ».

Vero come un mostro a tre teste, questo sicuro.

Storpiando la bocca al ricordo, il moro si diresse prima a farsi una sana dormita e poi a lezione con palese entusiasmo. Le ore successive furono un attentato alla sua salute mentale e dignità di studente, ma si sentiva così stanco e intorpidito dalla nottata appena trascorsa che la dignità, al momento, era l'ultimo dei suoi pensieri.

Riuscì a trovare un po' di conforto davanti ad una fumante tazza di caffè amaro che, sapeva, gli avrebbe restituito la giusta dose di vita perché arrivasse indenne fino sera. La sua quiete sopita venne poi invasa dall'allegra compagnia, alias Jed Graves, Kalee Dalton e Aarya Weiss, un'accozzaglia di gente che si era disgraziatamente legato al dito appena approdato al porto dei decerebrati fieri d'esserlo. Dal canto suo gli erano sempre stati stretti i panni che l'avevano costretto a vestire, ma non ne aveva mai fatto una questione di Stato. Aveva chiuso la bocca e s'era aggregato perché "tesoro, porterà orgoglio alla famiglia". Testuali parole di mamma e papà.

«Ti verranno le rughe Markov, a tenere la fronte corrucciata in quel modo».

Il sopra citato non sprecò fiato prezioso per ribattere e si limitò a sorseggiare dell'altro caffè. Il trio si era seduto in perfetto sincrono al suo stesso tavolo com'era ormai abitudine, ognuno con la propria porzione di zuppa inglese, carne ai ferri e riso condito allo zafferano. Jed fu più veloce degli altri a spazzare via il tutto, allacciando poi le braccia dietro la nuca e rovesciando la testa sulle spalle come fosse improvvisamente diventata troppo pesante da sostenere. Kalee mangiava silenziosa piccoli bocconi per volta con fare poco soddisfatto, mentre Aarya si fermava con la forchetta penzolante a mezz'aria, del tutto immersa nel libro che teneva sulle ginocchia.

Aveva sempre attirato molti sguardi, ma non se n'era mai curata. Rigava dritto sui suoi binari, ambiziosa e sagace, puntava al capolinea senza premurarsi delle fermate intermediarie. Nulla le aveva mai fatto curvare le spalle o abbassare la testa, nulla era riuscito a scalfire la superbia della sua postura e quell'ombra nello guardo che Aleksandar non aveva mai potuto capire del tutto.

Quella sera, quando lei scivolò fuori dai suoi abiti scuri e si lasciò cullare dal tepore appagante d'un bagno, sfuggì ai suoi occhi incuranti il guizzo di un'ombra spettrale, incastrata come prigioniera nel grande specchio cui aveva dato le spalle. 

Cor atrumDove le storie prendono vita. Scoprilo ora