capitolo nove

26 1 4
                                    

All'affacciarsi dell'alba su un ignaro Quartier Generale, Kalee Dalton gravitava intorno alle cucine con un'aureola di riccioli a contornarle il viso.

Presa da un impeto di sconforto nero e improvviso aveva spalancato le porte a due battenti e afferrato il mestolo più a portata di mano, giurando di piantarlo nel setto nasale del primo che le fosse passato accanto. Ciò, in assenza di una gustosa ciambella appena sfornata.

Murphy Bolton, il cuoco americano beccato a sollevare la gonna dell'ammirevole Lorena Romwell, provvedé a placarla dando prova di una pazienza infinita. Si allontanò fischiettando, non senza farle notare che proferire minacce acquisiva più credibilità se non si portavano ciabatte verdognole a zampe di rana.

«Sta' zitto Murph» grugnì.

«Il tè lo vuoi?»

«Caffè, grazie. Amaro.»

«Sei un fiorellino stamattina, passato bene la nottata?»

«Meglio di te indubbiamente. Lorena sta bene?» rilanciò.

«Non molto. Credo che il giochetto dell'altra notte non le sia piaciuto: le è rimasta una chiazza rossa proprio sotto...»

«Va bene, va bene!» la voce di Kalee si alzò di un'ottava. Murphy ridacchiò.

Uomo decisamente irriverente e poco astuto, aveva la straordinaria capacità di porre in imbarazzo ogni cristiano ben intenzionato. Le guance di Kalee, ravvivatesi di un rosso acceso, erano la prova di un ennesimo colpo andato a segno. Sembrò, dunque, che si fosse decisa a impegnare le sue forze negli ultimi bocconi coperti di glassa, ma evidentemente così non fu:

«Pare che mio nonno stia male» deglutì, ciondolando i piedi con la testa bassa «devo partire oggi per la Romania e raggiungerlo il prima possibile».

«Lo sai che i denti di vampiro si vendono a peso d'oro? Se ne trovi qualcuno ben affilato non tagliartici le vene prima di portarmelo».

«Come faccia Lorena a sopportare la tua presenza io non lo so» sospirò «Comunque, non ricordo molto di lui. So solo che è andato a vivere lì dopo che la nonna gli ha dato un due di picche coi fiocchi e che sfogava le sue ire pescando. Ogni tanto andavo a trovarlo con mamma e papà.»

«Bene, ora fammi questo favore: pesca anche tu il tuo buon senso dalle lagune oscure in cui è sprofondato tempo addietro e lasciami preparare la colazione in santa pace».

Kalee, gli occhi ridotti a due fessure, si concesse qualche attimo di silenzio per perfezionare una serie di insulti piuttosto coloriti.

Gli stessi che Aarya sapeva di dover tenere per sé almeno fino a fine giornata.

Seduta a capotavola, aveva gli occhi cerchiati e lunghe ciocche di capelli castani allungate sul legno scuro in spirali contorte. Davanti a lei vecchi libri che il signor Davis sfogliava di tanto in tanto e leggeva a tratti, mentre la moglie e Aarya rimanevano silenziose al suo fianco. Lo sguardo della ragazza rimase invalicabile: né curiosità, disinteresse o superiorità. Nemmeno compassione. Niente a cui la donna potesse aggrapparsi, niente che i suoi occhi, infine, tradissero. Veronica si chiese se fosse parte dell'allenamento, se venisse loro insegnato a non rivelarsi all'altro.

Aarya, accortasi del paio d'occhi che la studiavano attentamente ormai da una mezz'ora, piegò a rilento l'angolo della bocca in una sorta di sorriso sbilenco, lo sguardo assottigliato e le pallide dita tormentare pigramente un ricciolo solitario. 

Veronica inclinò il capo. Si rese conto che per la ragazza l'empatia non fosse di casa o che avesse perfezionato un modo per tracciare il confine oltre il quale nessuno aveva il permesso di procedere.

«Cosa nascondono le Porte di Ferro?» il signor Davis interruppe la loro triste danza.

«Passeggeri. Li chiamano così» Aarya cercò la pagina adatta, memore di quando l'aveva sfiorata anni prima «sono flussi di energia che si liberano di un corpo dopo la morte e trovano temporaneo alloggio nel Nono e ultimo Ordine, custode delle Porte»

Due paia d'occhi si fissarono in quelli di Aarya contemporaneamente, specchi di un accavallarsi di pensieri in serie rapida.

«Ciò che non siamo mai riusciti a capire pienamente è se questo flusso di energia possa equivalere all'anima che un essere vivente possiede, nel senso in cui la intendiamo noi. Disponiamo esclusivamente della certezza che i Passeggeri non abbiano coscienza; sono stati tentati ripetutamente dialoghi o analisi specifiche che possano dimostrare una possibile memoria a loro carico. Non si è mai giunti a nulla»

«Perciò una parte di mia figlia vive ancora, ma non potrei parlarle o...»

«No» il tono secco di Aarya recise ogni speranza rimasta «altrimenti sarebbe stato meno difficile per noi condurre le indagini».

Il signor Davis deglutì.

«Ogni duemila anni circa i Passeggeri, ormai incredibilmente numerosi, si compattano in sacche di materiale semi-fluido che si rompono nel momento in cui le Porte vengono aperte. Svaniscono lentamente e il Nono Ordine si svuota. Chi, invece, è destinato ad aprile, semplicemente collassa. La morte sopraggiunge velocemente ed è la sua energia a chiuderle».

Nessuna domanda fu più posta, nessuna parola a rompere il silenzio. Aarya veleggiò lieve fino alla propria camerata, coi libri sottobraccio e un fastidioso pulsare nel torace.

Cor atrumDove le storie prendono vita. Scoprilo ora