capitolo 6

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Ero piccolina ma mi ricordo ancora bene dove mio papà portava me e Marley. Era una casetta affacciata sul lago, poi quando ho compiuto 10 anni mi ha raccontato che saremmo dovuti andare a vivere lì se non avessero divorziato. Adoravo quella casa, mi dava spensieratezza e da quella che doveva essere la mia camera c'era una vista stupenda, guardavo sempre da quella finestra che dava sul lago e di sera in lontananza si vedevano tutte le luci di Leeds. Quando tornata dai weekend con papà e Marley raccontavo a mamma quanto mi piaceva quella casa lei era sempre sorridente, sono sicura piacesse anche a lei.
Ho preso un autobus e sono arrivata lì. Vedo la casa da lontano e sorrido, l'avrei potuta vedere solo da fuori oggi però mi farò dare le chiavi da papà. Mi blocco vedendo uscire Marley dalla porta, mi nascondo un po' dietro delle siepi, lui è solo e sospetto, che si guarda attorno. Chiude la porta e se ne va con le mani in tasca, ha un atteggiamento strano, come se non volesse farsi notare.
Appena lo vedo abbastanza lontano mi avvicino e tocco il portone...lo tocco come a ricordare...
"dai dai papà apri!"
mi rivedo lì a sollecitare mio padre che era ancora a qualche metro dalla casa affaticato dalle borse. Chiudo gli occhi e sospiro "le sarebbe piaciuta...a mamma sarebbe piaciuta" sussurro dando un ultimo sguardo alla casa per poi allontanarmi.
Non so perché più stavo lì davanti più mi venivano i brividi, magari perché ripensavo a mamma o magari perché faceva solo fresco, non so spiegarlo. Riprendo l'autobus per tornare a casa e stavolta vedo che l'autista, diverso da prima, fa un tragitto più lungo ma più gradevole perché da su un bel paesaggio. A casa mi ritrovo sola, non c'è nessuno, o almeno mi sembra così.
Chiudo la porta "papà? Sei a casa?" dico con tono di voce medio restando davanti la porta, come se mi sentissi al sicuro lì davanti. C'è uno strano silenzio, uno di quei silenzi a cui non credi, riprovo "papà? Marley?" niente.
Non sono per niente tranquilla lì dentro sola. Vedo un piede che spunta dalla cucina. Sono pietrificata, il mio cervello mi ordina di scappare e per fortuna prevale ai miei arti bloccati. Apro la porta e la sbatto chiudendola, con mani tremanti chiudo a chiave ma mi rendo conto che è una mossa disperata e sciocca perché il retro era aperto e qualsiasi altra finestra era una via di uscita per quella persona, mi rendo conto che ho perso solo tempo prezioso a chiuderla. Corro sul marciapiedi e spesso mi guardo le spalle, ho il fiatone, il cuore a mille e corro, corro veloce come non ho mai fatto.

𝑎 𝑤𝑖𝑛𝑑𝑜𝑤 𝑜𝑛 𝐿𝑒𝑒𝑑𝑠 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora