Capitolo due: coraggio o pazzia?

178 22 0
                                    

La sua pelle accolse il panno imbevuto di soluzione acquosa in un fascio di brividi fugaci. Mentre lo passavo sul confine escoriato, il polpastrello del mignolo percepì la sua presenza in velati tocchi involontari. Era calda, umida, come un pomeriggio piovoso d'estate. Jane non mosse neanche un dito mentre le mie mani si occuparono di lei. Si limitò a fare commenti sarcastici sul fatto che potessi effettivamente sembrare a capo di un'azienda farmaceutica, ma che il mio modo di passare il disinfettante era strano e incalzoso. 

<< Dovrebbe esserci del cotone in fondo alla scatoletta >> mi fece sapere, guardando il kit di pronto soccorso che aveva lasciato in bella vista sul davanzale del bagno e che scorsi non appena vi misi piede. << Non lo userò. Il cotone idrofobo tende a lasciare nella ferita fili o piccoli frammenti che potrebbero portare ad un'infezione. Finirò il lavoro con questo >> Le feci dondolare davanti agli occhi il panno e lei rispose abbassando le palpebre e girando il viso dall'altra parte. 

Qualche minuto più tardi, la ferita era perfettamente medicata. 

<<Grazie...>> borbottò.

<<No. E' stata colpa mia. Non ringraziarmi >> sospirai, seduto accanto al suo corpo sdraiato. 

 La gamba a penzoloni di Jane mi sfiorava appena, la sua mano sostava nell'aria e la sua guancia poggiava sul morbido cuscino.Mi trovai a bordo letto, incastrato in quel triangolo delle bermuda che tanto mi allietava in un disagio spiacevole. Mi allontanai di qualche centimetro, lei sembrò non farci caso. 

Spezzò il silenzio con una domanda che per qualche motivo mi rattristò assai. 

<<Quando te ne andrai, Ethan? >> 

Rimasi paralizzato. Le sue parole mi colpirono in una sberlata dritto sul cuore. Il tono basso, penetrante con cui pronunciò quelle nove sillabe mi smorzò il fiato e mi ritrovai affaticato al solo pensiero di doverle dare una risposta. I suoi occhi rimasero fissi su di me per tutto il tempo in cui cercai di elaborare una frase che non avrebbe tramutato il mio malessere in qualcosa di spregevole nei suoi riversi. Interruppi il mio discorso ancor prima che lo incominciassi: riuscii a replicare con un solo, misero non lo so, che forse solo io udii.  

Mi alzai di colpo. D'un tratto sentii che era quello, il momento in cui andarsene. Tutto mi parve assurdo, inutile, difforme. Quell' episodio, la mia vita, la mia presenza, come mi comportai: non seppi più che ci feci lì. Pensai sarebbe stato diverso. Pensai che essere salvato da uno sconosciuto avrebbe comportato un temporaneo e smielato conforto, un effimero momento che sarebbe svanito nel nulla una volta riprese le proprie strade. Non potevo sapere che mi sarei ritrovato faccia a faccia con una ragazzina, che mi avrebbe accolto in casa, nutrito e lasciato che dormissi sul suo letto. Mi sentii insignificante. 

Così presi, e me ne andai. 

La lasciai lì, dietro i miei passi, sdraiata sul suo letto, a guardarmi fuggire via di nuovo fino a che le porte della sua casa non ci avrebbero separati per sempre. Mi chiusi fuori, mi addentrai nel gelo della notte, e tornai a casa. Come se non fosse successo niente. Come se fosse stato solo un incubo.

Mai nella vita pregai così tanto di svegliarmi.

Mai nella vita odiai il mio cuore così tanto. 

Ad ogni passo nelle tenebre, un pensiero di pentimento varcò incorporeo.

Finché non mi trascinai alla mia auto, parcheggiata non molto lontano dal ponte. A quell'ora della notte era l'unico veicolo presente forse nel raggio di centinaia di metri, e il suo grigio metallico quasi scompariva nella nube delle quattro. Circumnavigai attorno al cofano, raschiando le dita appoggiate sulla superficie liscia. Un'attrazione gravitazionale intanto spingeva il mio animo verso la strada appena percorsa, e creava un attrito immateriale che quasi mi diede i capogiri. I miei piedi erano lenti, pesanti, tanto che mi ritrovai ad ansimare a pieni polmoni non appena le mie natiche toccarono la fredda pelle del sedile. Incurvai la schiena verso il volante, sul quale appoggiai la fronte sudata e tremante. Schiusi le labbra, e boccheggiai amareggiato. Un filo di bava mi sfuggiva intrepido. Poi sorrisi, poi mi arrabbiai, e infine piansi, con i polpastrelli invascolarizzati stretti attorno allo sterzo, piansi di nuovo. 

ATYPICALSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora