Capitolo due: coraggio o pazzia?

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Non appena le mie parole giunsero nelle orecchie di Jane, il suo corpo ebbe una reazione strana, particolare. I suoi piedi scalzi si misero in posizione assiale uno dietro l'altro, l'unghia perlata dell'alluce sfiorava appena il calcagno rialzato e indietreggiava, alternando il sinistro con il destro. Lo fece in modo cauto e delicato, pacato, senza togliermi gli occhi di dosso, fino a che si allontanò da me per dirigersi indubitabile non seppi dove. Tornò in meno di dieci secondi con un coltello impugnato tra le fragili dita. Uno di quei coltelli eccessivamente grandi e appuntiti per ciò a cui servivano, che non calzava affatto con la persona che lo reggeva per lo spesso manico nero. 

<<Tieni>> me lo porse in mano sinistra, più seria che mai. 

La guardai. Cercavo di capire perchè mai allungarmi un utensile del genere, e quando il mio lobo frontale mise a fuoco , una scarica elettrica senza precedenti portò i pollici a saldarvi la presa con più forza del dovuto. Riuscii a sentire i polpastrelli cambiare colore in un pallore inquietante.

 << Avanti, uccidimi >> biascicò sicura di sé. 

Allargò le braccia in aria, alzò il mento al soffitto e chiuse gli occhi.

<<Uccidimi>>  ripetè, qualche istante dopo.

Le mie dita si trascinarono provocate sulla rumorosa plastica, l'attrito si faceva sempre più forte e le mie pupille dilatarono. Mi sconvolse, ma capii a che gioco stava giocando. Voleva dimostrarmi che non sarei stato in grado di farlo. Che sotto sotto ero una di quelle persone buone che non meritavano di morire perchè il loro lato cattivo camuffava un qualche trauma vissuto. Voleva dimostrare quanto la mia malizia fosse debole, inesistente. Il punto è che lei proprio non era conoscenza del mostro che ero. Non sapeva chi fossi, non sapeva cos'avessi fatto, in che cosa mi ero cacciato. Non sapeva niente. Faceva leva su un'adrenalinico e temporaneo ego alimentato dal coraggio dell'essere stata una paladina della vita, e si sentiva invincibile, contro qualcuno che per attimi fatali pensò di valere meno di zero. 

Feci un passo dopo l'altro in sua direzione, e quando ai nostri petti non mancava che un sussurro perchè si sfiorassero, le afferrai nervoso un fianco con la mano. Non riuscivo a controllare il fremito del mio cuore, che guardando la punta dell'arma poggiarsi appena sopra l'ombelico, balzò in un sussulto silenzioso. Studiavo ogni movimento del suo corpo in cerca di segnali che potessero compiacermi, ma con mia sorpresa notai che non fece assolutamente niente di niente. Rimase nella stessa identica posizione senza sbatter ciglio, mantenendo lo stesso ritmo respiratorio e la stupida espressione impassibile in viso. Allora cosa feci, feci un po' di pressione sulla sua carne, convinto che alla minima soglia di dolore si sarebbe discostata da me. Dio, le mie mani incominciarono a tremare, tremavano come non mai. Il calore della mia pelle sul tessuto della sua maglia stava per incendiare la stanza mentre abbagli e ricordi cominciarono a scorrermi rapidi davanti: irrequietezze, paure, grida, sangue. 

Tutto mi ritornò in mente. Millimetro dopo millimetro i miei respiri si facevano sempre più pesanti, fino a trasformarsi in veri e propri affanni che continuarono anche dopo aver fermato l'avanzata sinistra. La mia bocca liberava ringhiosi gemiti insalivati e quasi percepii il mio corpo perdere l'equilibrio. La mia fronte umida toccò la sua, rovente. Abbassai le palpebre rassegnato. Successe di nuovo, successe la stessa cosa che accadde su quel ponte. Stavo di nuovo combattendo contro ciò che mi aveva quasi ucciso e non feci come volli, ma mi fermai. Davanti a una stupida, sventata ragazzina testarda.

Un leggero mugolio interruppe nell'immediato tutti i miei pensieri. La mano di Jane si appoggiò delicatamente nell'incavo del mio anconeo e senza imprimervi alcuna forza chiese in un silenzio tombale di smetterla di trapassarle l'addome. Eccetto che non mi fermò, né me lo chiese davvero. Aprii gli occhi e guardai cosa combinai sotto. Mi resi conto di averle lacerato il tessuto e dalla lama pendevano un paio di gocce di sangue. E' incredibile come stava lasciando che la uccidessi. Orgoglio, ardimento o pazzia? 

Lasciai andare la presa non appena realizzai propriamente la cosa e mi immobilizzai terrorizzato. Che diamine stavo facendo..Persi immediatamente tutte le forze e feci cadere a terra ciò che reggevo tra le dita. 

<<va tutto bene..>> sussurrò lei, come una pecora a cui strapparono tre gambe su quattro. La voce strozzata, dolorante, non riusciva proprio a metterla a tacere. Per un attimo la odiai. 

<<stai sanguinando, Jane>> mormorai secco, più arrabbiato con me che con lei. Con me per essere me e con lei per essere così dannatamente lei. 

Strinsi i pugni abbassati lungo i fianchi. Guardavo le cinque lacrime rosse gocciolate sul pavimento, che nel mio cervello allucinai in una pozza senza fine. Le nostre fronti ancora si toccavano.

 <<E' okay. Non mi hai uccisa. L'importante è questo, no?>> controbattè. 

Proprio non seppi che cosa risponderle. 

Un angolo del mio cervello prese ciò che fu detto come un insulto, l'altro cercava di sopprimerlo con tutto se stesso. Il macabro desiderio di vederla giacere a terra a supplicarmi di risparmiarle la vita. Il terrore che questa parte di me stesse di nuovo prendendo il sopravvento. Volevo morire per farla finita. Per far tacere quel mostro radicato dentro me. C'era un motivo se in quella notte, a quell'ora di gennaio mi trovai dalla parte sbagliata della balaustra.

Mi staccai da lei e mi presi il viso imploso tra le mani. Il mio corpo si piegò automaticamente a novanta gradi, resiliando sulle ginocchia cagionevoli che di fatto mi portarono con le natiche a due passi dal tiepido parquet. Jane si abbassò insieme a me e posò una mano sul mio capo sudato.

<< Perchè ti fai uccidere così facilmente, cristo. >>

<<Perchè non ho nulla da perdere>>  sussurrò. 

<<Tu sei folle>>.

<<Siamo tutti un po' folli, in fondo. >> sorrise sanguinante.

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